F.W. Nietzsche e gli animali.
«Ho trovato più pericoli tra gli uominiche in mezzo alle
bestie,perigliose sono le vie di Zarathustra.Possano guidarmi i miei
animali!»(F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Giovedì 3 gennaio
1889, Nietzsche esce di casa. Per strada, in via Po, assiste ad una scena non
insolita e non peggiore di tante altre recitate da analoghi attori: un
carrettiere ubriaco che bastona il suo cavallo. Indignato, Nietzsche si getta
fra l'animale e il suo tormentatore; la folla fa capannello, accorre un agente
di polizia. Nietzsche si schianta al suolo, esanime. L'affittacamere,
richiamato dalla confusione, si precipita in strada, s'intromette, soccorre il
suo pensionante e lo riporta a casa: il professore torna subito in sé, ma
soggiace a un delirio destinato a non cessare più, come provano i molti
«biglietti della pazzia» indirizzati nei giorni seguenti agli interlocutori più
disparati — Cosima Wagner, gli amici, il popolo polacco, Umberto I di Savoia.
Questo, in poche parole, lo scarno racconto che l'affittacamere allarmato fa a
Franz Overbeck, giunto trafelato a Torino l'8 gennaio, non appena informato
dell'accaduto. Il 9 gennaio Nietzsche è già a Basilea, nella clinica per
malattie mentali — è già uscito dalla storia per entrare nel mito.Che l'ultimo
gesto lucido e cosciente di Nietzsche sia stato la difesa di un animale
maltrattato, è grandioso. Mi piace pensare che si sia trattato del
materializzarsi di una comprensione folgorante — che il male permea questo
mondo e abbraccia tutte le sue creature nella globalità di un dolore cosmico
che è il destino dei viventi. In realtà, forse, non si è trattato d'altro che
del frutto necessario di una vita nata in terra nord-europea, cresciuta nella
religione protestante, presto illuminata dalle pagine di Schopenhauer e dal
loro messaggio orientale, naturalmente ricca di una profonda e squisita
sensibilità: tutte circostanze assai favorevoli a una benevola inclinazione
verso ogni creatura vivente, nella consapevolezza di una sorte comune dettata
dalla vita stessa.Invece capita spesso di sentire l'opinione che proprio il
fatto di via Po sia il segno per eccellenza della "pazzia" di
Nietzsche — «poveretto, abbracciare un cavallo...». E, si badi, non lo dicono
soltanto i molti che di Nietzsche hanno orecchiato soltanto qualche grossolana
volgarizzazione del superuomo e del nichilismo: lo dicono anche alcuni che
Nietzsche l'hanno davvero letto e studiato (compreso?). Chissà come, le poche
ma attente puntualizzazioni di Nietzsche sulla natura e sugli animali sono
state generalmente trascurate dai critici — almeno qui in Italia, dove
tradizionalmente, a dispetto di san Francesco e nonostante lodevoli eccezioni,
l'amore o anche il semplice, genuino interesse per animali e natura è sempre
stato giudicato appannaggio dei poveri di spirito o (in tempi più recenti)
strumento elettorale.Ripercorrendo l'opera del filosofo, affiorano invece
alcuni spunti significativi che si vogliono qui riproporre ai lettori, per
riscoprire insieme uno degli aspetti più delicati dell'uomo che fu Zarathustra.
«101. Non giudicate.
(...) La crudeltà contro gli animali nei bambini e negli Italiani è da
ricondurre all'incomprensione; l'animale è stato, particolarmente per gli
interessi della dottrina della Chiesa, situato troppo in basso rispetto
all'uomo. (...) Che l'altro soffra, bisogna apprenderlo: e pienamente non può
mai essere appreso.»(Umano, troppo umano, Oscar Mondadori, Milano 1976; vol. I,
pp. 73-74)
«51. Saper essere
piccoli. Si deve essere ancora vicini ai fiori, alle erbe e alle farfalle come
i bambini, che non sono molto più alti di loro. Noi adulti invece siamo
cresciuti molto più alti di loro e ci dobbiamo chinare fino ad essi; voglio
dire che le erbe ci odiano, quando dichiariamo il nostro amore per esse. — Chi
vuol prendere parte ad ogni cosa buona, in certe ore deve anche saper essere
piccolo.»(Umano, troppo umano, cit., vol. II, p. 152)
«57. I rapporti con
gli animali. Si può ancora osservare il sorgere della morale nel nostro
comportamento verso gli animali. Dove utilità e danno non vengono in
considerazione, noi abbiamo un sentimento di piena irresponsabilità; uccidiamo
e feriamo per esempio insetti, o li lasciamo vivere, senza di solito attribuire
a ciò alcuna importanza. Siamo così goffi, che già le nostre gentilezze verso i
fiori e i piccoli animali sono quasi sempre micidiali: ciò che non pregiudica
affatto il piacere che prendiamo ad essi. — Oggi è la festa dei piccoli
animali, il giorno più afoso dell'anno: tutto brulica e formicola intorno a
noi, e noi schiacciamo, senza volerlo, ma anche senza fare attenzione, ora qui
ora lì, un piccolo verme e un piccolo scarabeo alato. — Se gli animali ci
portano danno, noi cerchiamo in ogni modo di distruggerli, i mezzi sono spesso
abbastanza crudeli, senza che noi propriamente vogliamo ciò: è la crudeltà
della spensieratezza. Se essi sono utili, li sfruttiamo: finché una più sottile
saggezza non ci insegna che certi animali compensano largamente un altro
trattamento, quello cioè della cura e dell'allevamento. Solo allora nasce la
responsabilità. Si evita di tormentare l'animale domestico; un uomo si sdegna
se un altro è spietato verso la propria mucca, in piena conformità con la
morale primitiva della comunità, che vede in pericolo l'utilità comune ogni
volta che un individuo manca. Chi nella comunità scorge una trasgressione, teme
il danno indiretto per sé: e noi temiamo per la bontà della carne,
dell'agricoltura e dei mezzi di trasporto, quando vediamo trattati non bene gli
animali domestici. Inoltre, colui che è rozzo verso gli animali, suscita il
sospetto di essere anche rozzo verso gli uomini deboli, impari, incapaci di
vendetta; viene considerato ignobile, mancante dell'orgoglio più raffinato.
Così si forma una base di giudizi e di sentimenti morali: ma il meglio lo
aggiunge comunque la superstizione. Con sguardi, suoni e atti, molti animali
stimolano l'uomo a immaginare se stessi in loro, e molte religioni insegnano a
vedere in certi casi nell'animale la dimora di anime di uomini e di dèi: ragion
per cui raccomandano in genere più nobile attenzione, anzi rispettoso timore,
nel modo di trattare gli animali. Anche dopo la scomparsa di questa
superstizione, i sentimenti da essa suscitati continuano ad agire, maturando e
fiorendo. — Su questo punto, com'è noto, il cristianesimo si è dimostrato una
religione povera e retrograda.»(Ivi, pp. 153-154)
(Alessandra Colla, I
compagni di Zarathustra, 1994, ora in "Origini - Nietzsche", 2006)
I viventi umani sono ancora allo stadio di barbarie, sono più evoluti gli altri animali.
RispondiEliminaNietzche è uno dei primi moderni a uscirne come già fecero i grandi da Pitagora a Plutarco, da Leonardo a Einstein.
Ora siamo un miliardo a amare e rispettare gli animali, ma finché dureranno le superstizioni religiose la barbarie non avrà fine.
Molto bello questo trattato. Cmq anche se tutti gli umani fossero vegetariani gli miliardi di animali e insetti continuerebbero a morire e soffrire per mano di altri animali. Si chiama lotta per la sopravvivenza ed é cosi dall'alba dei tempi..
RispondiEliminaQuindi Danilo? Bel discorso senza senso.
RispondiEliminaIniziare dal non mangiare animali...e si parte da qui.Sono più di 20 anni che non ne mangio e la mia coscienza è rinata
RispondiEliminaBrava Maddalena. La rivoluzione, quella vera comincia dalla tavola!
EliminaIniziare dal non mangiare animali...e si parte da qui.Sono più di 20 anni che non ne mangio e la mia coscienza è rinata
RispondiEliminaIniziate a non mangiare animali..poi si puo parlare del resto..
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