I VEDA E L'ALIMENTAZIONE.





I Veda sono un’antica raccolta di libri sacri scritti in sanscrito vedico che e’ alla base della cultura induista e ariana in genere. Tramandati oralmente prima, come i poemi omerici in Occidente, sono stati messi per iscritto solo successivamente. Si dividono in quattro Samitha: il Rigveda, il Samaveda, lo Yajurveda e l'Atharvaveda. Il Rigveda e’ il piu’ antico e i suoi concetti stanno alla base degli altri testi: raccoglie gran parte delle conoscenze sullo yoga, la meditazione, i mantra, l’ayurveda e la stapatya veda, la scienza dell’architettura. Il Samaveda riporta numerosi inni contenuti nel Rigveda in forma poetica. Lo Yajurveda contiene le conoscenze Yogi e i rituali per purificare la mente e risvegliare la coscienza: i rituali si propongono di rappresentare l'universo all'interno dell'individuo, per realizzare l'unione fra le due dimensioni. Infine l’Atharvaveda, il testo meno antico contenente canti e incantesimi per calmare gli dei e mantra per allontanare il male, la sfortuna, i nemici e le malattie. A completare la raccolta dei testi vedici i Brahmana, commentari dei primi quattro veda, gli Aranyaka, che contengono le conoscenze esoteriche riservate agli eremiti, le Upanishad, trattati che approfondiscono le conoscenze dei Samitha e i Sutra, raccolta di aforismi filosofici.

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“Non dovete usare il corpo che vi è dato da Dio per uccidere le creature di Dio, siano esse umane,
animali o altro”.
(Yajur Veda, 12.32) “


«Se una persona mangia carne umana, di cavallo o di altri animali, e priva gli altri del latte uccidendo le mucche, o re, se tale essere malvagio non desiste con altri mezzi, allora non devi esitare a tagliargli la testa»
(Rig Veda, 10, 87, 16)


«Le anime nobili, che praticano la meditazione e le altre discipline dello yoga, che sono attente a tutti gli esseri e che proteggono tutti gli animali, sono quelle che hanno davvero intenzioni serie verso le pratiche spirituali»
(Atharva Veda, 19, 48, 5) 


«Si diventa degni della salvezza quando non si uccide alcun essere vivente»
(Manusmriti, 6, 60)


«Chi desidera accrescere la propria carne mangiando la carne di altre creature, vive nella miseria in qualunque specie nasca»
(Mahabharata, Anu, 115:47)


«Coloro che ignorano il vero dharma e, pur essendo malvagi e arroganti, si ritengono virtuosi, uccidono gli animali senza alcun rimorso o timore di essere puniti. Ma in seguito, nelle loro vite future, questi peccatori saranno mangiati dalle stesse creature che hanno ucciso in questo mondo» (Srimad Bhagavatam, 11, 5, 14)

In India, per altro, sembra ci sia sempre stata una diffusa consapevolezza circa le conseguenze negative del mangiar carne. L'alimentazione vegetariana è una tradizione da migliaia di anni. Questa tradizione subì dei colpi in seguito alle dominazioni straniere (i mussulmani prima e gli inglesi poi) grazie alle quali l'alimentazione non-vegetariana diventò più comune, ma mai maggioritaria.



Anche nei Veda, i testi sacri dell'Induismo, si possono leggere migliaia di ingiunzioni a non consumare carne, perché "si diventa degni della salvezza quando non si uccide alcun essere vivente". E non solo non lo si uccide, ma non lo si mangia neppure. Infatti, nei Veda si sostiene che è necessario astenersi dall'ingerire qualsiasi genere di carne, perché tale cibo implica sempre l'atto di uccidere e crea legami karmici. "Chi uccide gli animali", concludono impietosamente i Veda, "non può provare piacere nel messaggio della verità assoluta".

Secondo i Veda, insomma, l'uomo dovrebbe scorgere lo stesso principio della vita in tutti gli esseri viventi. E infatti, questi testi sacri descrivono incarnazioni di Dio in varie forme non umane, tra cui il pesce , il cavallo, la tartaruga, il cinghiale.

"La filosofia dei Veda", scrive il professor Steven Rosen nel suo illuminante libro "Il vegetarianesimo e le religioni del mondo" (Gruppo Futura), riconosce appieno agli animali la capacità di raggiungere stati di spiritualità elevata. Si tratta di una tradizione religiosa che non promuove soltanto il vegetarianesimo, ma anche l'uguaglianza spirituale di tutti gli esseri viventi. Il vegetarianesimo non è altro che la conferma di questa consapevolezza: tutti gli esseri viventi sono spiritualmente uguali".



Nei veda si afferma che il divino risiede in ogni essere vivente e dunque l'induismo e' una religione che si concreta nella conoscenza di se e del sacro in ogni forma di vita implicando con questo un carattere profondamente etico.


Nella cultura vedica l’essere vegetariani non deriva da una ricerca salutistica. L’essere vegetariani parte da una coscienza più profonda: quella di essere, in effetti, anime rivestite da un corpo materiale. Noi siamo particelle di Dio; non c’è differenza in questo senso tra gli animali, le piante e gli uomini. È la stessa anima rivestita ora da uno, ora da un altro involucro. L’unica differenza tra l’uomo, l’animale o la pianta, è il livello di consapevolezza che, nell’uomo, può svilupparsi fino ad essere cosciente del divino; una forma di intelligenza capace di discernere e quindi di scegliere nella propria vita ciò che è bene e ciò che non lo è, ciò che si vuole o che non si vuole fare e, in primis, è l’unico stadio di vita che ci dà la possibilità di riallacciare una relazione eterna col Signore. L’unica forma, quindi, quella umana, che permette all’anima cosciente e pura di poterLo servire. Questo dono che abbiamo è assai raro, se paragonato alla complessità e alla vastità della creazione. I Veda spiegano, infatti, che a causa del desiderio di godere della materia, l’anima o atma, può prendere corpo in una delle 8.400.000 forme materiali, che variano da microbi, amebe, piante, insetti, uccelli e altre specie animali, fino ad arrivare alle specie umane.



Veda, nella lingua sanscrita, significa “conoscenza”. Le antiche scritture sanscrite studiate in India sono conosciute come scritture vediche e presentano appunto la “conoscenza” dell’Assoluto. Tutta

la cultura dell’India antica si basa su queste scritture e questa cultura è seguita ancora oggi da milioni di persone. Secondo i Veda, l’essere umano è destinato a realizzare la sua identità di eterno servitore di Dio. La comprensione dei Veda comincia col realizzare quindi che non siamo questo corpo, temporaneo e materiale, ma l’anima eterna che vive nel corpo. Poiché c’identifichiamo con questo corpo, soffriamo. Il metodo che ci permette di realizzare la nostra coscienza reale, e conseguentemente l’amore latente per Dio, si chiama bhakti-yoga. Il punto centrale di questo sistema è di offrire ogni cosa che facciamo al Signore; per questo anche il cucinare è visto come un gesto sacro, che va eseguito nel migliore dei modi, cioè con amore. Ciò che distingue la cucina vedica dalle altre è la coscienza spirituale di chi cucina, la consapevolezza di preparare un’offerta per il Signore. Nella Bhagavad Gita, Krishna afferma che se qualcuno gli offre anche solo una foglia, un frutto o dell’acqua, purché ciò sia fatto con devozione, Egli ricambia accettandola e purificandola. Questo cibo, così spiritualizzato, diventa allora Krishna prasada, la misericordia del Signore. Nutrirsi diventa così un atto d’adorazione, uno scambio d’amore che purifica il nostro cuore.

Nella storia degli scambi tra il Signore e i Suoi devoti, che possono diventare estremamente intimi, ci sono episodi molto commoventi o addirittura miracolosi, che dimostrano come, Dio, che vive nel cuore di ogni essere, ricambia con sollecitudine i sentimenti di amore dei Suoi devoti.



Parlando della tradizione Hindu, bisogna dire che nell’antica cultura vedica, il consumo di carne non era una pratica generalizzata, e fu diffuso in India dai conquistatori mussulmani, dai cattolici portoghesi che si stabilirono nel Kerala, e dai protestanti Inglesi che invasero il paese nell’ultimo periodo.

Il Padma Purana afferma: ahimsa paramo dharmo, "La non violenza è il più alto dovere." La dottrina dell'ahimsa, che prescrive di "non nutrire ostilità e non portare danno a nessun essere vivente", è stata esposta da Vyasadeva, il compilatore dei Veda, cinquemila anni fa. Un altro concetto basilare della conoscenza vedica è riassunto negli aforismi: aham brahmasmi, "io sono lo spirito, l’anima spirituale e non il corpo materiale", e tat tvam asi, "anche tu sei parte di quello stesso spirito universale e divino". Ancora, il significato del termine ahimsa è definito così negli Yoga Sutra di Patanjali: "Ahimsa è non violenza, cioè non avere nessun sentimento negativo verso qualsiasi essere vivente, nessun desiderio di nuocere in nessun modo, in nessun momento. Questo è lo scopo che gli aspiranti allo yoga devono raggiungere."

La Manu-samhita, l’antico codice di leggi, afferma: “Per nutrirsi di carne è sempre necessario ferire delle creature viventi; si eviti dunque di mangiarne.” E ancora: “Considerata la crudeltà d’incatenare ed uccidere delle creature, è necessario astenersi dal mangiare carne.”

Bhaktivedanta Svami Prabhupada, il fondatore della Iskcon, L’associazione internazionale per la coscienza di Krishna, ha affermato: “Nella Manu samhita è detto che si è colpevoli anche se si uccide una formica, poiché non essendo noi in grado di creare la vita, non possiamo nemmeno permetterci di toglierla. Secondo la legge divina, uccidere un animale equivale a uccidere un uomo, e chi non segue questa legge segue leggi di comodo. Siamo tutti creature di Dio, in qualunque corpo alberghiamo, qualunque vestito indossiamo. Dio è il nostro Padre Supremo; perché quindi dovrebbe sancire l’uccisione di animali che sono anche Suoi figli?”

Nella Bhagavad Gita Krishna afferma l’uguaglianza di tutti gli esseri: “L’umile saggio, illuminato dalla pura virtù, vede con occhio equanime il brahmana, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani.”

La tradizione vedica accetta ogni essere vivente come un'anima spirituale individuale, e quindi sostiene che la non violenza costituisce la fondamentale forma di religione. Senza rispettare la natura spirituale degli esseri viventi non è, infatti, possibile nemmeno iniziare a comprendere la propria natura spirituale e vivere in armonia con il Tutto Supremo.

Ogni anima nel mondo materiale sta compiendo un viaggio evolutivo per giungere alla liberazione finale, moksa; perciò ostacolare tale evoluzione, uccidendo un altro essere per un profitto personale, è un grave peccato. Nutrirsi di carne è quindi un’offesa a Dio, poiché con l’uccisione dell’animale si rallenta per quell’anima il naturale processo evolutivo che la porterà a prendere un corpo umano, così da poter ottenere la liberazione dal ciclo di morti e rinascite.

Nel caso poi di animali tradizionalmente utili, nell’economia rurale vedica, come la mucca, il toro, il cavallo, l'elefante, tale uccisione diventava anche un crimine sociale e di conseguenza un peccato contro lo sviluppo spirituale, non solo dell'animale ucciso, ma dell'intera comunità umana. Perciò, tali animali erano, e sono, considerati "sacri" in questa tradizione, e a nessuno sarebbe venuta l’idea di mangiarli.

I quattro Veda originali sono molto espliciti e drastici sul consumo di alimenti non vegetariani: dal Rg Veda: "Chi persiste nel mangiare carne, sia essa umana, di cavallo, di mucca o di altri animali, nonostante si sia cercato di dissuaderlo con altri mezzi, deve essere ucciso."

Dallo Yajur Veda: "Non dovete usare il corpo che vi è stato dato da Dio per uccidere le Sue creature, siano esse umane, animali o di altra specie."

Dall’Atharva Veda: "Quelle anime nobili che praticano la meditazione e altre discipline yoga, che sono sempre attente e benevole verso tutti gli esseri, che proteggono tutti gli animali, sono i veri spiritualisti."

Il Mahabharata afferma, senza mezzi termini, che il consumo di carne è un crimine, in cui ugualmente colpevoli sono coloro che permettono l'uccisione di animali, coloro che acquistano, vendono, cucinano o servono la carne, oltre a quelli che la mangiano.

La Manu smriti afferma: "Chi non uccide alcun essere vivente diventa degno della liberazione."

La Manu smriti suggerisce anche dei palliativi per soddisfare la propria golosità senza nuocere agli animali: "Se una persona ha un forte desiderio di mangiare carne, può modellare una forma simile a quella di un animale, con farina o burro, ma non deve mai attentare alla vita di un essere vivente."

Anche nella tradizione Hindu quindi c'è spazio per aiutare la graduale evoluzione delle persone più degradate, che non riescono a fare a meno di mangiare la carne. In altre parti delle scritture vediche ci sono descrizioni di rituali specifici di sacrifici animali. Era ammissibile soltanto sacrificare una capra una volta al mese, nella notte di luna nuova, davanti alla Divinità di Madre Kali; il celebrante, prima di sacrificare l'animale, doveva pronunciare delle preghiere specifiche per diventare consapevole della gravità dell’atto che stava per commettere, compresa la formula "mamsa". Questa formula sanscrita è composta di due pronomi, mam, "io", e sah, che significa "lui" o "lei". Un verso vedico che spiega il significato di questa formula insegna: mamsa sa bhakshayitamutra yasya mamsam ihadmy aham, etan mamsaya mamsatvam pravadanti manisinah, "I saggi insegnano che la formula "mamsa" usata nel sacrificio rituale significa: quest’animale non è differente da me. E' una persona, è un'anima come lo sono io. Ora io uccido quest’animale e così facendo accetto la prospettiva che un giorno sarò ucciso da lui per pagare il mio debito."

Srila Bhaktivinoda Thakura, un santo vissuto nel Bengala nella seconda metà dell’800, asserisce: “Il cibo è senza difetti quando è puro e nutriente. La carne è impura di natura, e una civiltà basata sul suo consumo è una civiltà basata sul peccato. In effetti quella che attualmente viene considerata civiltà, non è altro che una civiltà degradata.” E ancora: “na himsyat sarvani bhutani, non si dovrebbe commettere violenza verso nessuna entità vivente. Purtroppo però finché la natura umana sarà condizionata dalla passione e dall’ignoranza, gli uomini saranno attratti dal consumo di carne.” Inoltre continua: “Causare dolore ad altre entità viventi è una propensione animalesca.”

Secondo il vocabolario sanscrito, il termine pasu-ghna è usato per indicare le persone incivili, cioè quelle che non hanno come scopo principale l’elevazione spirituale, quelle che mangiano carne e quelle che commettono assassinio o suicidio.

Il Bhagavata Purana, in diversi passaggi minaccia gli uccisori di animali con pene terribili nelle regioni infernali. Su un pianeta detto Raurava coloro che uccidono o maltrattano gli animali sono straziati da animali simili a quelli che avevano maltrattato, solo muniti di zoccoli, becchi, artigli e corna sovrannaturali e dotati di una crudeltà terribile, conosciuti come ruru e kravyada, che li tormentano e li divorano senza fine. Coloro che cuociono gli animali vivi, pensiamo per esempio alle aragoste, vengono a loro volta cotti in olio bollente nell'inferno conosciuto come Kumbhipaka. Coloro che si accaniscono senza necessità su animali inferiori, compresi gli insetti, pur essendo consapevoli della loro sofferenza, sono puniti nell'inferno chiamato Andhakupa, dove sono tormentati costantemente a loro volta da tutte le creature che hanno tormentato nel corso della vita: uccelli, animali selvatici, rettili, zanzare, pulci, pidocchi, vermi, mosche e via dicendo; essi vagano costantemente nel buio totale senza alcun riposo.

I cacciatori sono invece cacciati a loro volta con frecce e lance nell'inferno chiamato Pranarodha. L'inferno di nome Visasana è riservato a coloro che uccidono animali a scopo rituale; a questo proposito occorre ricordare che i vaishnava rifiutano i sacrifici animali, considerando questa pratica un’azione odiosa, spietata, a dispetto della presunta caratteristica religiosa. L'inferno chiamato Sulaprota, è destinato a coloro che torturano animali, come nella vivisezione. Chi in generale tormenta altri esseri viventi e si comporta in modo sgarbato e collerico è atteso dall'inferno Dandasuka. Tutte le punizioni inflitte a tali peccatori sono regolate da una legge del contrappasso identica a quella dantesca.


Il Karma

Il termine sanscrito Karma significa “azione”, e nel contesto è una qualunque azione materiale che provocando una reazione ci lega a questo mondo. È una legge scientifica: ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. Come succede in fisica per le forze, in cui le reazioni positive o negative si possono accumulare, smaltire o controbilanciare.

Per ogni azione c’è una reazione. Secondo la legge del Karma, se noi provochiamo sofferenza ad altri esseri a nostra volta dovremo subire delle sofferenze, individualmente o collettivamente. Si raccoglie ciò che si è seminato in questa vita e nella prossima, poiché la natura ha le sue leggi e la sua giustizia.

Secondo la legge del Karma il supermercato che vende la carne, la trattoria che la cucina, la macelleria, il mattatoio, la clinica dove si eseguono gli aborti o la vivisezione, sono ugualmente responsabili delle guerre che avvengono nel mondo. Commentando un verso dello Srimad Bhagavatam, Srila Bhaktivedanta Svami Prabhupada afferma: “Colui che non mostra inimicizia verso gli uomini, ma diventa il nemico e l’assassino di bestie innocenti, possiede una mentalità demoniaca. Nell’epoca in cui viviamo è lo stato stesso che dà prova di quest’inimicizia, costringendo gli animali a vivere in un costante terrore. Tale errore si paga, e la società umana deve portarne il peso, attraverso guerre e carestie.” Bhaktivedanta Svami Prabhupada spiega ancora nei suoi commenti alla Gita: “Coloro che uccidono animali e infliggono loro sofferenze inutili, saranno uccisi nella prossima vita e nelle molte altre che li attendono; in questo modo sui campi di battaglia si trovano uomini che si uccidono.” È da ipocriti quindi partecipare alle marce per la pace, e nutrirsi poi di carne.

Coloro che comprendono le leggi del Karma sanno che la pace non verrà dalle marce ma piuttosto dall’educazione della gente sulle conseguenze dell’uccisione di animali e su quelle delle pratiche abortive. Quest’educazione sarà il vero contributo alla pace nel mondo.

Alcune persone sostengono la teoria che gli animali non hanno anima, come le pietre inerti, volendo così sostenere razionalmente che ucciderli non sia una colpa. In realtà gli animali sono anime spirituali, e privandoli del loro corpo saremo privati a nostra volta della forma umana. Permettendo che ogni giorno avvengano orribili massacri di poveri animali, attiriamo su noi le reazioni del Karma. Non è un caso che nel mondo muoiano di fame milioni di esseri umani, e che persino l’Argentina, che si vanta di avere la migliore carne, e ne sia uno dei maggiori produttori, conosca questa miseria. Interessi delle grandi multinazionali, sfruttamento delle risorse ambientali, egoismo, karma individuale e collettivo, creano e mantengono tutto questo. La Terra produce cereali in quantità sufficienti a nutrire l’intera popolazione mondiale, ma interessi commerciali e di profitto ne limitano la distribuzione equa, abbondando in alcune zone, e scarseggiando in altre. Così si crea il mito della fame nel mondo, su cui lucrano le grandi potenze e i produttori di carne.


Le caratteristiche degli alimenti

Secondo le scritture vediche va detto che alcuni cibi sono considerati di prima qualità, altri di seconda e altri di terza qualità, in base all'influsso dei guna. Guna è una parola sanscrita che significa letteralmente "corda, colore, qualità, attributo, caratteristica". I guna della natura materiale sono tre: sattva, la virtù, rajas, la passione e tamas, l’ignoranza. L'interazione tra queste tre qualità fondamentali della natura, spiegata ampiamente nella Bhagavad-gita, dà origine ad un'immensa varietà di sfumature di livelli di coscienza negli esseri viventi e di caratteristiche fisiche negli oggetti inanimati. La Bhagavad-gita spiega bene le caratteristiche dei cibi in relazione ai guna: "I cibi in virtù accrescono la durata della vita, purificano l'esistenza e danno forza, salute, gioia e soddisfazione. Questi cibi sani sono succosi, oleosi e gradevoli al palato. I cibi troppo amari, aspri, salati, piccanti, secchi o eccessivamente caldi sono preferiti da chi è dominato dalla passione e generano sofferenza, infelicità e malattia. I cibi cotti da più di tre ore prima di essere consumati, privi di gusto, di freschezza, puzzolenti, decomposti e impuri sono preferiti da chi è sotto l'influenza dell'ignoranza."

Le vere funzioni del cibo sono quelle di accrescere la longevità, di purificare la mente e dare al corpo salute e vigore. Gli alimenti che soddisfano in modo migliore queste esigenze sono i prodotti del latte, che i Veda considerano come un alimento essenziale, gli zuccheri non raffinati, il riso, il grano, la frutta e la verdura. Questi sono gli alimenti preferiti dagli uomini guidati dalla virtù. Altri, poco saporiti, come il mais e la melassa, acquistano sapore se mischiati col latte o altri alimenti della virtù, e raggiungono così la sfera di questo guna. Anche le verdure come le barbabietole, le rape, la scorzonera, i rapanelli, i finocchi, le carote, le melanzane bianche e via dicendo, sono considerate insipide, oppure poco nutrienti e povere, e quindi poco adatte per esempio all'offerta rituale, ma possono essere trasformate, quindi rese migliori, da un procedimento di preparazione e da abbinamenti speciali con altri alimenti.

Gli alimenti governati dalla passione generano sofferenza, perché producono irritazione e quindi varie malattie, inoltre danno spesso assuefazione; si ha bisogno, per esempio, di mangiare sempre molto salato o piccante, perché tutto sembra “sciapo”. Lo stesso si può dire anche dei prodotti governati dall'ignoranza.

Caffè, tè e alcolici, sono sostanze intossicanti o inebrianti e non sono consumate dagli spiritualisti.


Differenza tra cibo materiale e alimento spirituale

Nella tradizione Gaudiya Vaisnava, iniziata nel XV secolo in Bengala da Sri Krishna Caitanya, i due pilastri fondamentali della pratica religiosa del sanatana dharma sono sempre stati il canto o recitazione dei nomi e delle attività di Dio, kirtana, e la distribuzione di cibo offerto a Dio, prasada. Essere vegetariani, infatti, non è sufficiente per rimanere liberi da ogni reazione colpevole e da ogni forma di violenza. Anche i vegetali sono esseri viventi, e sebbene il loro livello di consapevolezza e di sofferenza sia molto basso se paragonato a quello degli animali, quando ce ne nutriamo, contraiamo un debito nei loro confronti. Nel mondo materiale, spiega lo Srimad Bhagavatam, ogni essere è cibo per un altro, jivo jivasya jivanam, ma la Sri Isopanisad insegna che ad ogni essere è assegnata una parte specifica di nutrimento, tena tyaktena bhunjitha, secondo le sue reali esigenze. Poiché l'organismo umano è adatto a nutrirsi di alimenti vegetariani, è questo il tipo di dieta che dobbiamo seguire. Questo non significa però che i vegetariani, anche se prendono solo ciò che è loro necessario per vivere, siano liberi da doveri e debiti nei confronti del Tutto universale e del Signore, che è la fonte e il sostegno di ogni creazione. Per liberarsi da ogni debito o colpa, ma anche semplicemente per ringraziare il Signore dei suoi doni, l'essere umano deve servire, con dedizione libera da egoismo, come una singola parte serve tutto il corpo, e deve riconoscere questo suo collegamento subordinato con Lui. Il cibo che mangiamo è fornito dal Signore attraverso la grazia della Natura, che fa crescere gli alimenti vegetali con la pioggia, la luce e l'energia del sole, senza le quali non si potrebbe produrre alcun alimento. La Bhagavad-gita afferma chiaramente che le persone che non offrono il proprio cibo in sacrificio al Signore si comportano come ladri ingrati. Le persone invece che preparano il cibo pensando al piacere di Dio e compiono il sacrificio dell’offerta, azione sacra, rimangono liberi da ogni peccato e possono progredire verso la liberazione. Questo cibo è detto appunto prasada, misericordia. È una dimensione più elevata, del semplice essere vegetariani, un’applicazione pratica della spiritualità e del rispetto della vita in relazione a Dio.

Per non nuocere a nessuna forma di vita, molti yogi e spiritualisti preferiscono nutrirsi esclusivamente di frutti e foglie caduti dagli alberi, che non sono considerati esseri viventi, ma parti separate del corpo delle piante, e non hanno vita propria né sensibilità. Alcuni scelgono addirittura di applicare le antiche conoscenze vediche dello yoga che insegnano l'assimilazione diretta del prana, l'energia vitale dell'universo, emanata dal sole e solitamente assorbita attraverso il respiro. In questo modo alcuni yogi sono in grado di vivere senza mai mangiare nulla, anche per molti anni. Non è però un cammino adatto all’epoca in cui viviamo. Le scritture raccomandano per il Kali yuga, l’era attuale, l'offerta del cibo a Dio, come metodo per progredire sulla via spirituale.

Un altro aspetto molto importante di questa pratica spirituale, riguarda lo sviluppo di una relazione personale d’amore nei Suoi confronti. La tradizione della bhakti vaishnava considera fondamentale coltivare la relazione con il Divino attraverso le piccole azioni della vita quotidiana. Questa via spirituale è una forma elevatissima di yoga, bhakti yoga, lo yoga della devozione. Quando desideriamo stabilire un legame d’affetto con qualcuno, l'atto più semplice e più efficace consiste nell'offrirgli qualcosa di buono, da mangiare o da bere. Abituandoci a pensare a Dio in questi termini, in modo personale, la nostra relazione con Lui diventerà sempre più profonda e intima, fino a condurci al puro amore divino.

In quest’approccio spirituale il cuoco adopera ingredienti freschi, mantiene sempre pulita la cucina e medita sull’atto del cucinare per il piacere di Dio. Egli non assaggia il cibo mentre cucina, in quanto deve essere prima offerto al Signore. Il punto centrale di quest’atto d’amore è comunque il sentimento di devozione. È quello infatti che il Signore accetta, non il cibo in sé.

La forma più semplice di offerta è questa preghiera: “Mio caro Signore, Ti prego, accetta questo cibo.” Bisogna ovviamente ricordare che Dio è completo in Se stesso, che non ha bisogno di nulla. La nostra offerta è semplicemente un mezzo per mostrare il nostro amore e la nostra gratitudine e, con questi sentimenti nel cuore, si può cantare tre o più volte il mantra:

In India, questo metodo spirituale è conosciuto anche con il nome di pusti-marga, in cui l'atto di nutrire con amore e devozione il Signore Supremo, offrendoGli buoni cibi, nutre allo stesso tempo i sentimenti di devozione del devoto, la sua attrazione spontanea verso il Divino e il suo progresso spirituale.

È appunto per questo che Krishna afferma nella Bhagavad-gita:

patram puspam phalam toyam, yo me bhaktya prayacchati, tad aham bhakty-upahritam, asnami prayatatmanah, "Se qualcuno Mi offre, con amore e devozione, una foglia, un fiore, un frutto e dell'acqua, accetterò la sua offerta."

Essere vegetariani, in sé, non è il più grande successo. I Veda c’informano che lo scopo della vita umana consiste nel risvegliare l’anima alla sua eterna relazione con Dio. Il cibo offerto, diventato misericordia divina, non offre solo la salute che si può ottenere essendo vegetariani, ma anche la realizzazione di Dio; non è solo cibo per il corpo, ma anche nutrimento spirituale per l’anima. Quando Krishna accetta un’offerta, le trasmette la Sua natura Divina, la quale non essendo differente da Lui, ci libera dalle reazioni del Karma. In questo modo, sviluppando amore per Lui, e servendolo, la contaminazione materiale diminuirà e sfuggiremo al ciclo di nascita e morte. L’insegnamento essenziale dei Veda è che tutto viene da Krishna, e tutto dovrebbe essere offerto nuovamente a Lui per il Suo piacere.

Come affermò Sri Caitanya Mahaprabhu 500 anni fa: “Gli ingredienti come lo zucchero, la canfora, il pepe nero, il cardamomo, i chiodi di garofano, il burro, le spezie e la liquirizia, sono tutti materiali.

Tutti hanno assaggiato queste sostanze materiali.

Eppure questi ingredienti del prasadam contengono gusti straordinari e fragranze non comuni. Gustateli e sperimentatene di persona la differenza. A parte il gusto in sé, anche il profumo soddisfa la mente e fa dimenticare qualsiasi altro tipo di dolcezza. Perciò, si deve dedurre che questi ingredienti ordinari siano stati toccati dal nettare spirituale delle labbra di Krishna; esse hanno trasferito in loro le Sue stesse qualità spirituali.”



Il digiuno di Ekadasi.

In sanscrito il digiuno è detto upavasa, che significa "tenere la mente attaccata al Signore" o "stare presso il Signore". Nella tradizione brahminica e yogica il digiuno è sentito infatti come una necessità religiosa, oltre che come una necessità igienica. Nella cultura vedica le celebrazioni augurali erano sempre precedute da un periodo di digiuno; gli sposi dovevano digiunare prima delle nozze, e anche gli stessi Principi reali erano tenuti ad osservare il digiuno, prima di salire al trono. Nella letteratura vedica antica si parla del digiuno come fonte di salute, splendore e benedizioni per una lunga vita. Nell’Harivamsa leggiamo che Parvati, la consorte di Siva, si rivolge a un consesso di donne, in gran parte mogli di saggi e di Dei, affermando che per mantenere la loro bellezza e ottenere il dono di una vita matrimoniale lunga e felice, avrebbero dovuto digiunare nei giorni propizi.

Il Brahma Vaivarta Purana insegna che colui che digiuna nel giorno di Ekadasi, si libera delle conseguenze dei suoi atti colpevoli e progredisce verso un’esistenza virtuosa.

Secondo la tradizione vaishnava si ottiene un beneficio spirituale digiunando in certi giorni propizi, ed esistono parecchie giornate favorevoli per il digiuno, come la luna piena e la luna nuova, e alcuni altri giorni lunari di differenti stagioni, come l'ottavo giorno della luna calante tra agosto e settembre. Il calendario lunare, completo di questi giorni, è preparato ogni anno da diversi astrologi religiosi. In particolare, l'undicesimo giorno della luna crescente o calante, chiamato Ekadasi, letteralmente "l'undicesimo", è considerato particolarmente importante per lo sviluppo della vita spirituale.

Sri Krishna dice ad Arjuna: “Se una persona digiuna in Ekadasi, ridurrò in cenere tutti i suoi peccati, e gli concederò la Mia dimora trascendentale…In verità Ekadasi è il giorno più meritorio per distruggere ogni sorta di peccato, ed è apparso per il bene di tutti.”

Ekadasi è un giorno d’austerità osservato regolarmente da coloro che seguono il sanatana-dharma, la coscienza di Krishna. Generalmente, in questo giorno, ci si astiene da ogni cibo o bevanda. Se ciò non è possibile, si osserva il digiuno astenendosi dai cibi solidi, e si prende solo acqua, o acqua e limone con zucchero integrale, o latte, o succhi di frutta. Se anche questo non è sufficiente, si fa un solo pasto, senza cereali o legumi nel pomeriggio.

Il digiuno rituale secondo la luna va osservato da un'ora prima dell'alba di Ekadasi, fino al sorgere del sole del giorno successivo Dvadasi; entro due ore dopo l'alba il digiuno va interrotto, anche in modo simbolico, con una piccola quantità di cereali. Il tempo del digiuno è poco più di 24 ore. Inoltre, durante i giorni di digiuno rituale, è tradizione dedicarsi alla recitazione di mantra, dei santi nomi di Dio e all'adorazione del Signore in varie maniere. Il Brahma Vaivarta Purana ci ricorda che il vero scopo del digiuno di Ekadasi è quello di ridurre le richieste del corpo, per usare il tempo così guadagnato nel servizio del Signore, col canto delle Sue glorie o con qualsiasi altra attività devozionale.

Questo digiuno è seguito in India anche da persone non particolarmente devote, che però desiderano ottenere un qualche beneficio materiale; altre eseguendo quest’austerità, magari accidentalmente, o persino con il cuore pieno di desideri materiali, ottengono comunque dei benefici adeguati alle loro aspettative.

Eseguendo invece regolarmente il digiuno di Ekadasi, anche un materialista può giungere alla liberazione. Questo digiuno è in ogni caso un valido aiuto sulla via che riporta a Dio.

Srila Bhaktivedanta Svami Prabhupada nel suo commento al Bhagavatam elabora una singolare proposta: “Lo Stato che vuole sradicare la corruzione, dovrebbe introdurre i principi della religione stabilendo due giorni di digiuno obbligatorio al mese, se non di più. Dal punto di vista economico, questi due giorni, faranno risparmiare in tutto il territorio tonnellate di cibo, e questa pratica avrà un effetto favorevole anche sulla salute generale dei cittadini, con conseguente risparmio delle spese sanitarie.”

Grazie a tutti.


La non-violenza e la dieta vegetariana

Krishna insieme a Radha e una vacca Ahimsâ è un concetto che raccomanda la non-violenza e il rispetto per tutte le forme di vita.  Il termine ahimsâ compare per la prima volta nelle Upaniṣad e nel Raja Yoga, è la prima delle cinque yama, o voti eterni, le restrizioni dello Yoga.
Molti induisti praticano il vegetarismo come una forma di rispetto per ogni forma di vita senziente. Esso inoltre è raccomandato per le sue virtù purificatrici (sattva) come un modus vivendi sano e igienico. Il 40% della popolazione indiana (ed il 55% dei brahmana) adotta una dieta vegetariana,soprattutto nel Rajasthan (63%), Haryana (62%), Punjab (48%) . Questa dieta è basata principalmente su latte e vegetali; qualcuno evita anche l'aglio e la cipolla poiché si crede abbiano proprietà rajasiche, vale a direpassionali.
Gli induisti che mangiano la carne per lo più si astengono dal consumo di carne bovina e dall'utilizzo di prodotti come il cuoio. La maggior parte degli indù considera infatti la mucca come il miglior esempio della benevolenza degli animali e, poiché è l'animale più apprezzato per il latte, è riverito e rispettato come una madre. Di conseguenza nella maggior parte delle città sante indiane è vietata la vendita di carne di mucca (spesso di qualsiasi tipo di carne) ed esistono divieti sull'abbattimento delle mucche in quasi tutti gli Stati dell'India. La pratica di sacrificare delle capre o altri animali nei templi della Dea madre è scomparsa a causa delle critiche.



Il consumo di carne non era una pratica generalizzata, e fu diffuso in India dai conquistatori mussulmani, dai cattolici portoghesi che si stabilirono nel Kerala, e dai protestanti Inglesi che invasero il paese nell’ultimo periodo. 




In India, per altro, sembra ci sia sempre stata una diffusa consapevolezza circa le conseguenze negative del mangiar carne. L'alimentazione vegetariana è una tradizione da migliaia di anni. Questa tradizione subì dei colpi in seguito alle dominazioni straniere (i mussulmani prima e gli inglesi poi) grazie alle quali l'alimentazione non-vegetariana diventò più comune, ma mai maggioritaria.


http://www.yoga.it/articoli/essere-vegetariani-un-atto-di-estremismo-o-consapevolezza/








Il vegetarismo nella cultura Vedica

Conferenza presso

Bhaktivedanta Library – Bibliothé , Via Celsa 5 – Roma

Ultima conferenza 2002 del ciclo ESSERE VEGETARIANI organizzato dall’Ass. Armando D’Elia

Roma, 19 Dicembre 2002

Relatore:Marco Barbagallo - Ass. Vedic




                                                                                                                      
http://utenti.multimania.it/vedic/vedaevegetarianismo.htm




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