I SACRIFICI DI SANGUE NACQUERO IN PASSATO PER UN ORDINE ERRATO,IN COMPLETO CONTRASTO CON L'ORDINE DELLE COSE,CON LA NATURA,LA VIA DELLA RETTITUDINE E LA COMPASSIONE CHE DOVREBBERO AVERE TUTTI PER OGNI ESSERE VIVENTE,COME NELLA VISIONE DEL BUDDHISMO DOVE QUEST'ULTIMA E' L'ELEMENTO PIU' IMPORTANTE.
IN QUESTO ESTRATTO GAUTAMA SIDDHARTA(BUDDHA) A TAL PROPOSITO E' MOLTO CHIARO.ABBANDONARE IL SACRIFICIO DELL'IO E DEGLI ANIMALI.
(Majjhima Nikaya, Discorso 63°): «Kutadanta accusò il Buddha: "Mi hanno detto che insegni la legge e la via della vita, eppure disprezzi la religione. I tuoi seguaci abbandonano i riti e snobbano i sacrificî. Ma la reverenza per gli dèi si può mostrare solo coi sacrifici. La vera natura della religione è adorare e sacrificare". Il Buddha rispose: "Più grande del massacro di manzi è il sacrificio dell’io. Colui che offre in sacrificio i propri desiderî morbosi comprende l’inutilità di codesto macello d’animali sull’altare. Il sangue non pulisce, ma sporca. La rinuncia alle azioni dannose, invece, rende il cuore integro. Seguire la via della rettitudine è meglio che adorare gli dèi".», (Raccolta dei discorsi lunghi)
I SACRIFICI RITUALI ANIMALI E UMANI VENGONO FATTI PER CHIEDERE LE GRAZIE A QUELLE ENTITA' CHE RISIEDONO NEI PIANI SOTTILI,VENGONO ANCHE FATTI PER CHIEDERE ALLE FORZE DELLA NATURA FAVORI OPPURE UN BUON RACCOLTO ED ALTRO,ADDIRITTURA POSSONO ESSERE FATTI PER INDIRIZZARE DETERMINATE ENERGIE PER UNO SCOPO AFFINCHE' QUESTO SI REALIZZI,IN SOSTANZA SI CERCA DI MODIFICARE L'OLOGRAMMA(MONDO IN CUI VIVIAMO) CON AIUTI ESTERNI AGGRAZIANDOSI O CERCANDO DI DOMINARE LE FORZE OCCULTE OSCURE,QUINDI PRATICHE DI ASSOLUTA DISCUTIBILITA' E CONTRO OGNI FORMA DI COMPASSIONE.PER CHI HA COMPRESO IL CONCETTO DELL'UNO,QUINDI CONSAPEVOLE DEL FATTO CHE SIAMO TUTTI PARTE DI UN UNICO ORGANISMO VIVENTE,SIAMO TUTTE CELLULE DI UN ORGANISMO,IL FATTO CHE UNA CELLULA MANGIA L'ALTRA POTREBBE FARCI COMPRENDERE COSA PUO' PROVOCARE E INFINE FARCI COMPRENDERE CHE QUESTI RITUALI SONO DEGLI ATTI ABOMINEVOLI E ASSOLUTAMENTE DOVREBBERO ESSERE ABOLITI IN OGNI LORO FORMA.
ALY.
Qui leggiamo,sempre dal libro di Icke;
La relazione tra il mangiar carne e l’ordine sociale. Come già visto, il sacrificio con finalità oblativa prevede una distribuzione strettamente codificata delle parti del corpo della vittima ai commensali; si tratta di una spartizione che rispecchia le gerarchie politiche della società sacrificante. Secondo Marcel Detienne, in Grecia l’alimentazione carnea coincideva in modo assoluto con la pratica sacrificale1. Esistevano due sistemi di spartizione: uno basato sul privilegio (ghèras), in cui le porzioni più pregiate erano assegnate ai capi (sacerdoti, re, magistrati); e uno, analogo del pasto omerico a parti uguali, in cui il corpo della vittima era smembrato in pezzi di uguale peso che venivano tirati a sorte. I due sistemi potevano combinarsi: prelievo delle porzioni pregiate per i commensali di rango particolare e distribuzione egalitaria del resto2. Le categorie di abitanti marginali, i non-cittadini, non partecipavano al sacrificio e al pasto carneo se non sotto precise condizioni: gli stranieri solo attraverso la mediazione di un cittadino che rispondesse pubblicamente di loro; i meteci erano esclusi dal sacrificio ma potevano essere ammessi tra i commensali; quanto alle donne, costituivano, nelle le parole di Detienne, «la categoria più rilevante dei marginali nel sacrificio»3. Lo status delle donne nel sacrificio corrispondeva esattamente al loro status politico: private di tutti i diritti politici, esse erano dunque escluse dagli altari, dalla carne e dal sangue, salvo circostanze eccezionali nelle quali entravano in gioco unicamente le donne sposate con dei cittadini, solo attraverso la mediazione del marito e, nei termini della gerarchia, ricevendo la loro porzione solo dopo i maschi della famiglia4. Non è forse possibile cogliere strutture analoghe regolanti il consumo di carne e la ripartizione degli animali (in quanto «pezzi» e in quanto specie) nelle società moderne secondo criteri fondati sulla classe sociale, quindi sulla cittadinanza e sul peso politico? Spartizione laica, impersonale, che si impone da sé, in cui il classismo capitalista (carni scelte, ed eventualmente «biologiche» o di specie più rare o difficili da allevare, per i ricchi; carni più ordinarie, o di «minore qualità», per gli altri) si interseca con simbologie patriarcali (carni rosse e al sangue per gli uomini, carni bianche, o pesce, o formaggi, per le donne).
In questa cornice, è interessante interrogarsi sulla posizione sociale dei «disertori» dell’alimentazione carnea. Detienne dedica alcune pagine ai gruppi filosoficamente e religiosamente dissidenti dell’Antichità, avversi al sacrificio e più o meno «vegetariani» (correnti pitagoriche, orfiche, dionisiache), e osserva che «sono le forme di protesta, rese esplicite dai diversi orientamenti del misticismo greco, che permettono di cogliere le regole implicite e di far apparire le grandi articolazioni del sistema sacrificale»5. Se cioè il sistema delle pratiche religiose-alimentari scaturisce da un fondo ancestrale tacito che i Greci non sentono il bisogno di definire in modo manifesto e razionale, sono le voci discordi che ne tracciano i contorni proprio attraverso la protesta. E non si può forse dire che oggi le critiche sempre più numerose dell’uccisione di animali a scopo alimentare, da parte di un movimento vegetariano che guadagna costantemente in visibilità, sfidano il sistema carnivoro a uscire dal confortante alveo della tacita legittimazione storico-culturale per impegnarsi in auto-giustificazioni filosofiche aperte (e, a dire il vero, non sempre convincenti)?
Il secondo tratto del sacrificio potenzialmente riferibile all’attualità riguarda il modo in cui i mangiatori di carne si rapportano alle vittime, gli animali, e in particolar modo alla loro sofferenza. Come abbiamo visto, nel rito sacrificale che ha per vittime gli ingesta è prescritto di evitare quanto più possibile la sofferenza. Ciò è vero anche nel sacrificio greco: Detienne parla di una «volontà di cancellare la violenza nella cerimonia sacrificale, come se si trattasse di discolparsi in anticipo dell’accusa di assassinio»6, e descrive il modo in cui l’animale viene accompagnato all’altare in processione, senza fretta né costrizione apparente, il coltello, sottile e affilato per una morte rapida, nascosto in un cesto sotto chicchi d’orzo mischiati a sale. Addirittura, «il rituale si preoccupa di ottenere il suo consenso attraverso il movimento della testa»: la procedura vuole che gli si spargano addosso all’improvviso acqua fredda e poi semi, il che lo induce a scuotere la testa, per sgrullarsi, gesto interpretato come segno di assenso7. Per lo stesso motivo, davanti all’altare l’animale, fino ad allora allevato in libertà perché destinato a essere sacrificato, viene indotto ad abbassare il capo, come nel gesto di assoggettarsi al giogo, ulteriore manifestazione di consenso8. Ora, Françoise Armengaud ha certamente ragione nell’evocare il disprezzo per l’animalità espresso dalle attuali modalità industriali di allevamento e uccisione delle bestie. Ma se pensiamo all’importanza che gran parte della nostra società, pur non aderendo al vegetarismo –anzi, proprio per il fatto di non aderire al vegetarismo- accorda all’idea di «benessere» animale e alla riduzione della sofferenza negli allevamenti e nei mattatoi, e accostiamo questa esigenza sociale odierna alla struttura del sacrificio greco, ecco una nuova affinità. Anche la nostra società, come quella greca, ha bisogno di rimuovere il più possibile le tracce di violenza dall’idea dell’uccisione degli animali. È l’organizzazione economica capitalista, con la sua massificazione e la sua tecnologia, a rendere materialmente impossibile la realizzazione di questa «impostura». Ecco allora che, in epoca moderna, le macellazioni cominciano a non essere più praticate per strada ma in luoghi chiusi e centralizzati, i mattatoi, che progressivamente si spostano sempre più lontano dal centro della città, dal cuore della vita sociale. Ed ecco che, parallelamente, la comunicazione di massa comincia a lavorare sull’immagine degli animali di allevamento: colorati, buffi, sorridenti, consenzienti.
FONTE:http://www.vitapensata.eu/2011/03/08/il-sacrificio-la-carne-e-gli-animali/
DI SEGUITO L'ARTICOLO COMPLETO.
Il sacrificio, la carne e gli animali
Di: Agnese Pignataro
8 marzo 2011
Esiste un rapporto tra l’odierno consumo di carne animale e la sfera sacrificale? Le categorie sacrificali antiche possono aiutarci per comprendere meglio l’alimentazione carnea contemporanea? Il sacrificio deve o no essere considerato una struttura fondativa ineluttabile dell’essere umano, e se sì, fondativa di cosa? Il gesto vegetariano, oltre a esprimere un rifiuto individuale della violenza, può essere letto come un rifiuto dell’intero ordine sociale? A queste domande tenta di rispondere Françoise Armengaud in Réflexions sur la condition faite aux animaux, appena pubblicato presso le edizioni Kimé.
Armengaud è agrégée e dottore di ricerca in filosofia, già maître de conférences di filosofia del linguaggio ed estetica all’università Paris X nonché redattrice di Nouvelles Questions Féministes, storica rivista internazionale di femminismo materialista e radicale. Questo suo nuovo volume raccoglie ed elabora articoli pubblicati negli ultimi venti anni su svariati temi uniti da un filo conduttore: la riflessione, critica e sdegnata, sulle relazioni tra gli umani e gli animali e in particolare sull’uso che i primi fanno dei secondi, nei concetti e nelle pratiche. I diversi argomenti affrontati spaziano dall’interpretazione estetica della rappresentazione degli animali -nel cinema, nell’arte, nella poesia- alla loro interpretazione politica, che mostra come, attraverso sofismi e accostamenti ideologici, tale rappresentazione ricopra una funzione giustificativa di numerose frammentazioni politiche dello spazio sociale umano. All’interno di questo vasto materiale, che sarebbe impossibile presentare in modo esauriente e complessivo, abbiamo scelto di concentrarci sull’analisi operata da Armengaud del rapporto tra la categoria del «sacrificio» e l’alimentazione carnea.
Prima di addentrarci in questa direzione, è bene introdurre una precisazione: le riflessioni proposte in questo libro non si limitano mai a una semplice trattazione del ruolo dell’animale come sostituto simbolico dell’umano, che si tratti del sacrificio o in generale dell’uso politico dell’animalità. Armengaud puntualizza in modo costante, insistente, che al cuore delle sue riflessioni ci sono gli animali: «così come noi li trattiamo, nei nostri gesti e condotte, nell’organizzazione massiccia e crudele del loro sfruttamento e nell’assassinio insito nel loro abbattimento»; ma anche «gli animali e il piacere che ci suscita la loro bellezza e, a volte, un’amicizia che non siamo mai sicuri di meritare» (pp. 13-14). Nel caso del suo studio delle teorie antropologiche del sacrificio, Armengaud scrive: «preciso che il mio interesse per l’antropologia è un interesse in qualche modo obliquo: dal punto di vista degli animali. Con questo vorrei anche indicare un punto cieco dell’antropologia classica, ovvero la sua non interrogazione sull’essere dell’animale, il cui essere vittima va da sé» (p. 77).
Per poter affrontare la problematica del sacrificio in relazione al consumo di carne, occorre in primo luogo precisare la nozione stessa di «sacrificio». «In senso stretto, il sacrificio rientra nella categoria del rito», e questo è definibile come «una sequenza di gesti e di azioni regolati nel loro ordine e successione, ripetuti periodicamente […] che riveste un carattere sacro o simbolico» (p. 62). In senso più generico, poi, il sacrificio costituisce una categoria mentale e culturale che ingloba atti «apparentemente non rituali, cioè non riconosciuti come sacrifici da coloro che li praticano, ma pensabili come tali» (p. 63). Ma di che tipo di rito si tratta, specificamente? Armengaud, dopo aver presentato tre esempi di cultura sacrificale religiosa (il sacrificio brahmano nello hinduismo, il sacrificio nell’antica polis greca e l’Ayd-el-Kébir, il sacrificio domestico musulmano che ricalca quello di Abramo) abbozza una prima definizione «minimalista e astratta [… secondo cui il sacrificio] è la soppressione di un valore a profitto di un altro valore, soppressione che si ritiene avvantaggiare questo altro valore, se non addirittura crearlo; […] per esempio, per un individuo, “essere sacrificato” significa (agli occhi dei suoi sacrificatori) vedersi attribuito un valore minore e/ma degno di, e atto a produrre, attraverso il proprio annientamento, un valore maggiore» (p. 76). Sulla base di questa idea generale possono essere esaminate le diverse teorie antropologiche del sacrificio -le quali concordano nel definire come sue finalità principali la comunicazione tra gli umani e gli antenati o gli dei, e il mantenimento di un ordine sociale e/o cosmico- arrivando a definire, schematicamente, due categorie principali di sacrificio: quello in cui la vita animale funziona come doppio della vita umana e quello in cui vale per se stessa.
Nel primo caso, il valore del sacrificio è essenzialmente espiatorio: esso assicura la riparazione di un torto verso gli dèi e la restaurazione della struttura cosmica o sociale. Rito cruento di purificazione, in cui «l’animale deve essere visto come rappresentazione proiettiva, o modello, dell’essere umano» (p. 78). Lo status della vittima è riconducibile alla categoria degli «excreta (ciò che è eliminato, espulso), nella quale la finalità del sacrificio è scacciare qualcosa al di fuori del corpo sociale, espellerlo [… e] in cui gli animali sono secondari. [… ] Qui alcuni umani, per esempio nella persone di re e capi, sono primari, altri umani (schiavi, progenitura) possono essere loro sostituiti, e infine degli animali possono rimpiazzare questi ultimi. […] Mangiato o no, l’animale è in primo luogo un sostituto ed è ugualmente sostituibile da un animale di specie diversa» (p. 84).
La seconda categoria di sacrificio ha valore domestico: lo status della vittima è riconducibile alla categoria degli «ingesta (ciò che è ingerito, mangiato), il sacrificio riguarda principalmente il cibo e in esso gli animali sono prioritari, cioè non sono sostituti di umani» (p. 84). In questa tipologia di sacrificio, il rito si configura come dono e prevede una ripartizione delle carni dell’animale ucciso tra commensali trascendenti (divinità, antenati, spiriti…) e commensali terreni, gli umani sacrificanti membri di un preciso gruppo sociale (tribù, città…); ripartizione che segue regole estremamente precise quanto a preparazione, cottura e distribuzione delle parti. La finalità del sacrificio non è qui nell’idea di restaurazione ma di preservazione, di conferma della struttura del mondo, cosmico o umano.
Françoise Armengaud individua numerosi punti di divergenza tra le due categorie (pp. 85-87), le quali sono da lei riconosciute come compatibili e conciliabili proprio in quanto si spartiscono la sfera sacrificale senza coincidere. Tra questi, la divergenza delle modalità di uccisione: indolore per quanto possibile, o comunque senza sofferenza aggiunta, nel caso degli ingesta; dolorosa e con sofferenza insistentemente inflitta, secondo il modello del linciaggio, nel caso degli excreta. O ancora, quella delle qualità richieste alla vittima: animale sano, perfetto, «puro», nel caso degli ingesta, laddove gli excreta non debbono avere requisiti particolari. Fondamentale poi quella che riguarda la giustificazione e lo scopo del sacrificio: l’uccisione dell’ingestum è un’offerta finalizzata alla coesione sociale tramite la ripartizione delle risorse, un dono che dà luogo alla circolazione e allo scambio, in questo caso dell’alimento, mentre quella dell’excretum è un’espiazione, finalizzata alla salvezza del collettivo attraverso l’immolazione di uno solo. «In ultima analisi, nel caso degli ingesta si tratta per gli umani di mangiare; nel caso degli excreta, di non essere mangiati dagli altri umani» (p. 86).
Nell’idea del sacrificio come rito catartico avente per oggetto degli excreta, il lettore avrà certamente riconosciuto la teoria di René Girard, secondo la quale esiste una struttura sacrificale socialmente fondante, e quindi necessaria e inaggirabile, il cui fine è canalizzare la violenza individuale in un atto di violenza collettiva, esercitato su di un capro espiatorio, per costituire e garantire la pace sociale. Ma Armengaud, appoggiandosi alle critiche di altri autori, contesta tale teoria per il suo riduzionismo: Girard, dice Armengaud seguendo Heusch, «ha il difetto di abolire tutte le differenze antropologiche in virtù di una concezione psicologica arbitratria della vita sociale» (p. 83); e ancora, seguendo Pommier, Girard «considera (a torto), in primo luogo che ci sono solo sacrifici cruenti; in secondo luogo che i sacrifici di animali sono essenzialmente sostitutivi, dei sacrifici umani camuffati» (ibidem). Come abbiamo visto nella ricostruzione di Françoise Armengaud, invece, non tutti i sacrifici corrispondono alla teorizzazione girardiana, non tutti i riti sacrificali sono riti terapeutici volti a contenere e sublimare la violenza umana: una tale teoria unitaria del sacrificio non rende conto della complessità delle funzioni e delle pratiche e va quindi rifiutata in quanto semplificatoria. Quel che più interessa rispetto alla finalità complessiva del lavoro di Armengaud è che rifiutare di interpretare il sacrificio unicamente nei termini proposti da Girard permette di poter pensare più facilmente un’uscita dalla logica sacrificale, uscita che Girard invece non ritiene né possibile né augurabile.
Le riflessioni di Armengaud, difatti, non sono mai meramente descrittive, ma sono percorse da un intento politico: la «speranza a lungo termine» (p. 30) che l’oppressione degli animali possa un giorno essere abolita. Nel caso delle pratiche sacrificali, si tratta di capire il nesso, se un nesso esiste, fra tali pratiche e l’odierno consumo di carne nelle società industrializzate contemporanee, per arrivare infine a chiedersi: «che fare per uscire dalla sfera dei sacrificabili e dei sacrificati?» (p. 87).
Abbiamo già visto come lo schema del sacrificio come espiazione non sia realmente legato all’atto del mangiare. Quanto allo schema del sacrificio come dono, secondo Armengaud esso non è direttamente applicabile all’alimentazione carnea attuale, perché in esso una parte della vittima deve sempre essere riservata al commensale trascendente (la divinità), laddove il consumatore di oggi «non dà nulla e prende tutto, non dà ad altri che a sé. È ancora possibile pensare il pasto carneo in termini di oblazione [solo] a condizione di vedere, in termini contemporanei, il cibo-carne come sacrificio offerto a sé per vivere, soddisfare l’appetito, il gusto, la golosità, rinnovare l’energia» (pp. 75-76). Un ulteriore elemento di non corrispondenza tra categorie sacrificali antiche e relazione attuale con gli animali-vittime risiederebbe poi nel fatto che «al giorno d’oggi sembra che trattiamo i nostri ingesta come degli excreta, attraverso il disprezzo che abbiamo per loro, disprezzo evidente nelle modalità di vita che infliggiamo loro e nella loro distruzione di massa» (p. 88). Dobbiamo forse concludere allora che i comportamenti di oggi siano poco o per niente leggibili come espressioni di una mentalità sacrificale?
Pur concordando con Françoise Armengaud sull’idea che il sacrificio «non fornisce una spiegazione ultima della violenza esercitata sugli animali» (p. 89), è nostro avviso che esistano altre caratteristiche del sacrificio oblativo potenzialmente utili per comprendere, almeno in parte, alcuni aspetti del moderno sistema di produzione e consumo dell’alimento-carne. Sulla base dei saggi del grecista ed antropologo Marcel Detienne raccolti nel volume La cuisine du sacrifice en pays grec, ci sembra di poter individuare almeno due tratti del sacrificio quale era praticato nella Grecia antica che sono riferibili alla nostra attualità.
Il primo è la relazione tra il mangiar carne e l’ordine sociale. Come già visto, il sacrificio con finalità oblativa prevede una distribuzione strettamente codificata delle parti del corpo della vittima ai commensali; si tratta di una spartizione che rispecchia le gerarchie politiche della società sacrificante. Secondo Marcel Detienne, in Grecia l’alimentazione carnea coincideva in modo assoluto con la pratica sacrificale1. Esistevano due sistemi di spartizione: uno basato sul privilegio (ghèras), in cui le porzioni più pregiate erano assegnate ai capi (sacerdoti, re, magistrati); e uno, analogo del pasto omerico a parti uguali, in cui il corpo della vittima era smembrato in pezzi di uguale peso che venivano tirati a sorte. I due sistemi potevano combinarsi: prelievo delle porzioni pregiate per i commensali di rango particolare e distribuzione egalitaria del resto2. Le categorie di abitanti marginali, i non-cittadini, non partecipavano al sacrificio e al pasto carneo se non sotto precise condizioni: gli stranieri solo attraverso la mediazione di un cittadino che rispondesse pubblicamente di loro; i meteci erano esclusi dal sacrificio ma potevano essere ammessi tra i commensali; quanto alle donne, costituivano, nelle le parole di Detienne, «la categoria più rilevante dei marginali nel sacrificio»3. Lo status delle donne nel sacrificio corrispondeva esattamente al loro status politico: private di tutti i diritti politici, esse erano dunque escluse dagli altari, dalla carne e dal sangue, salvo circostanze eccezionali nelle quali entravano in gioco unicamente le donne sposate con dei cittadini, solo attraverso la mediazione del marito e, nei termini della gerarchia, ricevendo la loro porzione solo dopo i maschi della famiglia4. Non è forse possibile cogliere strutture analoghe regolanti il consumo di carne e la ripartizione degli animali (in quanto «pezzi» e in quanto specie) nelle società moderne secondo criteri fondati sulla classe sociale, quindi sulla cittadinanza e sul peso politico? Spartizione laica, impersonale, che si impone da sé, in cui il classismo capitalista (carni scelte, ed eventualmente «biologiche» o di specie più rare o difficili da allevare, per i ricchi; carni più ordinarie, o di «minore qualità», per gli altri) si interseca con simbologie patriarcali (carni rosse e al sangue per gli uomini, carni bianche, o pesce, o formaggi, per le donne).
In questa cornice, è interessante interrogarsi sulla posizione sociale dei «disertori» dell’alimentazione carnea. Detienne dedica alcune pagine ai gruppi filosoficamente e religiosamente dissidenti dell’Antichità, avversi al sacrificio e più o meno «vegetariani» (correnti pitagoriche, orfiche, dionisiache), e osserva che «sono le forme di protesta, rese esplicite dai diversi orientamenti del misticismo greco, che permettono di cogliere le regole implicite e di far apparire le grandi articolazioni del sistema sacrificale»5. Se cioè il sistema delle pratiche religiose-alimentari scaturisce da un fondo ancestrale tacito che i Greci non sentono il bisogno di definire in modo manifesto e razionale, sono le voci discordi che ne tracciano i contorni proprio attraverso la protesta. E non si può forse dire che oggi le critiche sempre più numerose dell’uccisione di animali a scopo alimentare, da parte di un movimento vegetariano che guadagna costantemente in visibilità, sfidano il sistema carnivoro a uscire dal confortante alveo della tacita legittimazione storico-culturale per impegnarsi in auto-giustificazioni filosofiche aperte (e, a dire il vero, non sempre convincenti)?
Il secondo tratto del sacrificio potenzialmente riferibile all’attualità riguarda il modo in cui i mangiatori di carne si rapportano alle vittime, gli animali, e in particolar modo alla loro sofferenza. Come abbiamo visto, nel rito sacrificale che ha per vittime gli ingesta è prescritto di evitare quanto più possibile la sofferenza. Ciò è vero anche nel sacrificio greco: Detienne parla di una «volontà di cancellare la violenza nella cerimonia sacrificale, come se si trattasse di discolparsi in anticipo dell’accusa di assassinio»6, e descrive il modo in cui l’animale viene accompagnato all’altare in processione, senza fretta né costrizione apparente, il coltello, sottile e affilato per una morte rapida, nascosto in un cesto sotto chicchi d’orzo mischiati a sale. Addirittura, «il rituale si preoccupa di ottenere il suo consenso attraverso il movimento della testa»: la procedura vuole che gli si spargano addosso all’improvviso acqua fredda e poi semi, il che lo induce a scuotere la testa, per sgrullarsi, gesto interpretato come segno di assenso7. Per lo stesso motivo, davanti all’altare l’animale, fino ad allora allevato in libertà perché destinato a essere sacrificato, viene indotto ad abbassare il capo, come nel gesto di assoggettarsi al giogo, ulteriore manifestazione di consenso8. Ora, Françoise Armengaud ha certamente ragione nell’evocare il disprezzo per l’animalità espresso dalle attuali modalità industriali di allevamento e uccisione delle bestie. Ma se pensiamo all’importanza che gran parte della nostra società, pur non aderendo al vegetarismo –anzi, proprio per il fatto di non aderire al vegetarismo- accorda all’idea di «benessere» animale e alla riduzione della sofferenza negli allevamenti e nei mattatoi, e accostiamo questa esigenza sociale odierna alla struttura del sacrificio greco, ecco una nuova affinità. Anche la nostra società, come quella greca, ha bisogno di rimuovere il più possibile le tracce di violenza dall’idea dell’uccisione degli animali. È l’organizzazione economica capitalista, con la sua massificazione e la sua tecnologia, a rendere materialmente impossibile la realizzazione di questa «impostura». Ecco allora che, in epoca moderna, le macellazioni cominciano a non essere più praticate per strada ma in luoghi chiusi e centralizzati, i mattatoi, che progressivamente si spostano sempre più lontano dal centro della città, dal cuore della vita sociale. Ed ecco che, parallelamente, la comunicazione di massa comincia a lavorare sull’immagine degli animali di allevamento: colorati, buffi, sorridenti, consenzienti. Laddove Armengaud afferma che «trattiamo i nostri ingesta come degli excreta», è necessario aggiungere che continuiamo ad aver bisogno di pensarli come ingesta.
Nella conclusione delle sue riflessioni sul sacrificio, la filosofa francese afferma che «sembra facile (o almeno si può immaginare senza difficoltà) uscire dal sacrificio degli ingesta, smettere di nutrirsi […] di carne animale. Ma è dal sacrificio di violenza fondatrice, dal sacrificio politico degli excreta, che sembra più difficile uscire. Sacrificio che comprende anche le guerre e i massacri tra umani» (p. 88). Se una vera risposta al problema dell’uscita dalla mentalità sacrificale è ancora di là da venire, il merito di Armengaud sta sicuramente nell’aver chiarito alcuni presupposti importanti del problema stesso, mostrando in che termini e a che condizioni si può dire che tale mentalità sia in relazione con il mangiar carne. Un chiarimento che permette di evitare letture univoche troppo affrettate. La struttura del sacrificio è probabilmente una componente delle relazioni che intratteniamo con gli animali al giorno d’oggi, ma ciò non vuol dire che sia univoca, né che sia l’unica. E se gli animali assumono ancora oggi le vesti di esseri metaforici, utilizzati come sostituti di umani e destinatari obliqui della violenza umana, come sostiene Girard, ciò non significa che questo sia il loro ruolo unico, o principale. Come abbiamo visto, alcune pratiche sacrificali si esercitano sugli animali non in quanto capri espiatorî ma in quanto esseri commestibili e trattano la violenza della loro messa a morte come un effetto collaterale da minimizzare e rimuovere. Si tratta di due visioni dell’animale essenzialmente diverse e non sovrapponibili, nelle quali emergono fattori di tipo eterogeneo che, pur eventualmente intersecandosi, non possono riassumersi gli uni negli altri.
Queste precisazioni inducono a pensare che il superamento della violenza infra-umana da realizzarsi attraverso una rifondazione sociale e culturale delle relazioni umane, un passaggio certamente indispensabile per uscire dalla logica del sacrificio espiatorio, è premessa necessaria ma non sufficiente in sé per uscire dal sacrificio degli ingesta e dalle pratiche carnivore in generale. Uscita che richiede una condizione supplementare: la disponibilità ad abbandonare l’immagine degli animali come esseri commestibili, ovvero ad ipotizzare relazioni con gli animali che non passino attraverso dinamiche alimentari. E su quest’ultimo punto che chiude la nostra riflessione, ci permettiamo di dissentire da Françoise Armengaud: che una tale disponibilità possa nascere «facilmente» sul piano collettivo ci sembra tutto da dimostrare.
Note
1. M. Detienne, « Pratiques culinaires et esprit du sacrifice », in M. Detienne e J.-P. Vernant (a cura di), La cuisine du sacrifice en pays grec, Gallimard, Paris 1979, p. 10. V. anche p. 21: «tutta la carne consumabile deve provenire da un abbattimento rituale».
2. Ivi, p. 23.
3. Id., «Violentes “eugénies“. En pleines Thesmophories: des femmes couvertes de sang», in M. Detienne e J.-P. Vernant (a cura di), La cuisine du sacrifice en pays grec, cit., p. 186.
4. Ivi, p. 187-188.
5. M. Detienne, « Pratiques culinaires et esprit du sacrifice », cit., p. 12.
6. Ivi, p. 18.
7. Ibidem.
8. Ivi, p. 19.
http://www.vitapensata.eu/2011/03/08/il-sacrificio-la-carne-e-gli-animali/
FRANCO BATTIATO SARCOFAGIA VIDEO
Come può la vista sopportare l'uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi? Non ripugna il gusto, berne gli umori e il sangue? Le carni agli spiedi crude... e c'era come un suono di vacche. Non è mostruoso desiderare di cibarsi di un essere che ancora emette suoni? Sopravvivono i riti di sarcofagia e cannibalismo. (Franco Battiato)
*Live della canzone "Sarcofagia" di Franco Battiato, contenuta nell'album "Ferro Battuto" (2005) e Liberamente ispirata al Trattato di Plutarco "Del mangiare carne".
Aggiornamento del 04/01/2013:
Sacrifici umani ed animali, condanne a morte, espianti e guerre
Olocausto è una parola che deriva da un similare termine greco olokaustos tramite il latino holocaustum, e in orgine significava quel particolare sacrificio di animali ove il povero animale veniva interamente bruciato senza che se ne conservasse alcuna parte commesitibile. Il termine olocausto in lingua italiana, per analogia, ha assunto anche il significato di un sacrifico totale, ovvero di una grande carneficina.
Gli olocausti come carneficine deliberate sono testimoniati nella storia delle religioni, ed è noto che ci sono sempre state vere e proprie mattanze sacrificali sia di animali che di uomini. Basti pensare alla pasqua Ebraica con la sua strage di agnelli, che continua nella tradizione cristiana (nonostante probabilmente Gesù fosse vegetariano come gli Esseni, che celebravano una "Pasqua fiorita" senza sacrifici animali), ed ai sacrifici umani degli aztechi collegati anche alle "guerre fiorite" (guerre che avevano come fine quello di catturare nemici da immolare sull'altare).
Durante il sacrificio 4 sacerdoti aztechi tenevano ferma la vittima sdraiata su una lastra di pietra, ed un altro sacerdtoe con un coltello di selce praticava una profonda incisione per estrarre il cuore dall'addome, reciderlo, ed offrirlo in sacrificio al loro Dio (credevano che tali sacrifici fossero indispensabili per evitare che gli Dei adirati mandassero delle terribili calamità sulla terra, memoria forse del cosiddetto diluvio universale)
Non molto diversamente i chirurghi che al giorno d'oggi pongono fine alla vita di un uomo in cosiddetta "morte cerebrale" (ma biologicamente vivo e con discrete possibilità di recupero se curato adeguatamente) usano delle sostanze paralizzanti per evitare che durante l'incisione per estrarre gli organi si dimeni rendendo difficile l'operazione di "donazione" (predazione) degli organi.
Del resto anche le moderne esecuzioni dei condannati a morte hanno molte similitudini con la predazione degli organi, e c'è qualcosa in quelle esecuzioni che rammenta i sacrifici umani dei tempi antichi.
E che dire dei tanti delitti su cui si focalizzano i mass-media (Sara, Yara) dietro i quali si intravedono ancora una volta dei sacrifici rituali, il cui effetto sembra si voglia amplificare con la propaganda mediatica?
Follie? Forse, ma in un mondo ormai perennemente sotto una cappa bianca non più di nuvole ma di scie degli aerei è giocoforza prendere coscienza dell'esistenza di qualcosa di diverso da ciò che il sistema di menzogne ci ha insegnato tramite la scuola ed i mass-media.
Avevo già ventilato l'ipotesi che le recenti morie di animali potessero anche rappresentare un sacrificio di massa di animali, compiuto per ragioni esoteriche. Ovviamente in tale ottica le guerre, oltre ad avere la finalità di ridisegnare gli equilibri geopolitici e cambiare gli assetti del potere, sono anche dei grandi sacrifici umani.
C'è qualcuno che fa notare delle coincidenze che fanno propendere ulteriormente per questa ipotesi. Nel frattempo abbiamo a che fare con armi capaci di sacrificare in un olocausto centinaia di migliaia di persone in un colpo solo, dalle bombe nucleari ai terremoti artificiali.
L'invasione in Libia lo stesso giorno dell'invasione dell'Iraq
tratto da VigilantCitizen, traduzione: nwo-truthresearch
Jet libico abbattutodo
La guerra in Iraq fu dichiarata il 19 marzo 2003. Le forze occidentali hanno attaccato la Libia il 20 marzo 2011.
C'è una ragione occulta dietro tutto questo? Entrambe le invasioni si sono verificate alla vigilia dell'equinozio di primavera, una data che era, ed è tuttora, estremamente significativa nella storia. E' la data della resurrezione del Sole, e fu spesso celebrata con un sacrificio di sangue per "fecondare la Terra".
"Quando l'equinozio di primavera non si è più verificato sotto il segno del Toro, il Dio Sole si è incarnato nella costellazione dell'Ariete e il montone è poi diventato il veicolo dell'energia solare. Così, il Sole che sorge nel segno dell'Agnello Celeste trionfa sul simbolico serpente delle tenebre. Il sangue dell'agnello è la vita solare versata nel mondo attraverso il segno dell'Ariete."- Manly P. Hall, The Secret Teachings of All Ages
"Esso (l'equinozio di primavera) fu in particolare il sacrificio des primeurs, i primi frutti dei campi, le prime verdure, i primi agnelli e altri giovani animali e così via. E il figlio primo nato, il Cristo, il Figlio di Dio, fu anche lui sacrificato al momento dell'equinozio di primavera. Questa idea dei giovani che vengono sacrificati fu chiamata a Roma la Ver Sacrum, la primavera sacra". - Carl Jung, Note sul seminari tenuti nel 1930-1934, Volume 1
"L'oggetto di questo studio era quello di dimostrare che il sacrificio umano, che prevalse ampiamente nei primi tempi, era una consuetudine connessa soprattutto con l'equinozio di primavera, e che le offerte erano fatte per placare un dragone mitico che faceva le sue richieste in quel momento. Il Drago della mitologia viene identificato e definito, e mostrato in quel senso egli apriva le sue mascelle alla stagione primaverile annuale.
In Egitto in un primo periodo furono abolite, ma in Grecia, abbiamo degli esempi storici". - George St. Clair, Dragon Sacrifices at the Vernal Equinox
Secondo alcuni ricercatori, nella tradizione degli Illuminati, l'Equinozio di Primavera è considerato un giorno di riposo minore, ma richiede sempre un sacrificio umano. Il 21-22 marzo è dedicato alla Dea Ostara (Ishtar, anche detta "Eostre"), da cui prende il nome la "Pasqua"(Easter). Il 21 marzo è una delle Notti dei Sacrifici Umani degli Illuminati. Ishtar era la dea babilonese della fecondità, dell'amore e della guerra. Il suo nome deriva dalla parola Alba ("Dawn").
E' una coincidenza che il nome dell'operazione militare in Libia sia "Operazione Alba dell'Odissea"? Stiamo osservando un altro mega rituale?
FONTE : http://scienzamarcia.blogspot.com/2011/04/sacrifici-umani-ed-animali-condanne.html
AGGIORNAMENTO DEL 06/01/2013
Sacrifici e fuochi d’artificio
Tempo di brindisi, di tappi che schioccano, di bollicine, di fuochi d’artificio... Non ci uniremo ai festeggiamenti di San Silvestro, alla gioia artefatta dell’ultimo giorno dell’anno. In un’occasione come questa, bisognerebbe rileggere l’operetta morale di Leopardi, “Il dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere”: il poeta e filosofo recanatese con il suo lucido disincanto ci rammenta che le ricorrenze sono vuote convenzioni. L’anno è scandito da feste e liturgie, ma il flusso temporale ignora le finzioni e le illusioni umane.
Purtroppo l’ultima parte del 2012 è stata suggellata da eventi sanguinari: in particolare l’eccidio nella Sandy Hook elementary school di Newtown nel Connecticut. Come è ormai quasi assodato, la strage del 14 dicembre non è stata l’azione di un folle, di un giovane psicolabile, ma un delitto orchestrato e perpetrato da frange delle istituzioni per i loro abominevoli scopi. E’ stato compiuto un altro nefando sacrificio umano che ricorda le immolazioni di bambini praticate dai Cartaginesi in onore dell’abominevole dio Moloch. [1]
Qualcuno ha scritto che nel periodo in cui si fossero susseguite notizie di bimbi trucidati nelle guerre scatenate e fomentate dalla cricca mondialista, il momento della conflagrazione finale sarebbe stato imminente. I conflitti medesimi, oltre ad essere motivati da bieche finalità strategiche ed economiche, sono cerimonie cruente. Prepariamoci dunque al peggio, pur senza deflettere. I sadici che muovono le leve degli eventi planetari amano propiziarsi l’assistenza di entità malvagie con sacrifici umani ed animali. Ciò spiega per quale motivo in questo lustro, la ferocia gratuita contro gli esseri viventi ha toccato un culmine inaudito. E’ una crudeltà talmente eccezionale che tutti i pur orrendi crimini del passato sembrano impallidire al confronto.
Viviamo in un’era demoniaca: il demoniaco non è la degradazione dell’uomo, ma il suo innalzamento ad idolo, a creatura che si ritiene in diritto di soggiogare la natura e gli altri. Un ego ipertrofico è alla radice di scelleratezze spesso provocate da una desertificazione della coscienza.
Non ci assoggetteremo alle intimazioni del sistema, ma soprattutto non ci riconosceremo mai nella sua lurida ipocrisia che spaccia l’iniquità e la tirannide per giustizia e libertà. Non è solo una questione etica, ma di buon gusto. Mario-lo Monti, non pago di aver rovinato l’Italia, persevera nella sua devastazione della nobile lingua italiana. Ora la misura è colma: non può essere tollerato un beota che conia l’oscena e grottesca frase “salire in politica”, come se non fossero bastati i suoi snobistici ed arbitrari termini inglesi. Codesto stupratore dell’idioma patrio meriterebbe la gogna, anche solo per i suoi barbarismi.
Per l’anno nuovo le parole d’ordine dovranno essere più che mai: condannare, svergognare ed esautorare le autorità, creare sinergie con la splendida umanità che non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi con i bugiardi ed i malfattori.
La “bestia” alla fine trionferà affogando nel suo stesso sangue.
[1] Non si pensi a settori deviati all’interno delle forze dell’ordine e dei governi, poiché gli apparati in sé nascono deviati, corrotti, semmai con qualche onesto dissidente al loro interno.
http://zret.blogspot.it/2012/12/sacrifici-e-fuochi-dartificio.html
APOCALISSI ALIENE: il libro http://www.lulu.com/shop/antonio-marcianò/apocalissi-aliene/paperback/product-16378312.html;jsessionid=3FBECF948A533A67A35E941B428092AB
AGGIORNAMENTO DEL 20/02/2013
Sacrifici di sangue
17 giugno 2011 | Autore Roberto Duria |
http://www.stampalibera.com/?p=27766
IN QUESTO ESTRATTO GAUTAMA SIDDHARTA(BUDDHA) A TAL PROPOSITO E' MOLTO CHIARO.ABBANDONARE IL SACRIFICIO DELL'IO E DEGLI ANIMALI.
(Majjhima Nikaya, Discorso 63°): «Kutadanta accusò il Buddha: "Mi hanno detto che insegni la legge e la via della vita, eppure disprezzi la religione. I tuoi seguaci abbandonano i riti e snobbano i sacrificî. Ma la reverenza per gli dèi si può mostrare solo coi sacrifici. La vera natura della religione è adorare e sacrificare". Il Buddha rispose: "Più grande del massacro di manzi è il sacrificio dell’io. Colui che offre in sacrificio i propri desiderî morbosi comprende l’inutilità di codesto macello d’animali sull’altare. Il sangue non pulisce, ma sporca. La rinuncia alle azioni dannose, invece, rende il cuore integro. Seguire la via della rettitudine è meglio che adorare gli dèi".», (Raccolta dei discorsi lunghi)
I SACRIFICI RITUALI ANIMALI E UMANI VENGONO FATTI PER CHIEDERE LE GRAZIE A QUELLE ENTITA' CHE RISIEDONO NEI PIANI SOTTILI,VENGONO ANCHE FATTI PER CHIEDERE ALLE FORZE DELLA NATURA FAVORI OPPURE UN BUON RACCOLTO ED ALTRO,ADDIRITTURA POSSONO ESSERE FATTI PER INDIRIZZARE DETERMINATE ENERGIE PER UNO SCOPO AFFINCHE' QUESTO SI REALIZZI,IN SOSTANZA SI CERCA DI MODIFICARE L'OLOGRAMMA(MONDO IN CUI VIVIAMO) CON AIUTI ESTERNI AGGRAZIANDOSI O CERCANDO DI DOMINARE LE FORZE OCCULTE OSCURE,QUINDI PRATICHE DI ASSOLUTA DISCUTIBILITA' E CONTRO OGNI FORMA DI COMPASSIONE.PER CHI HA COMPRESO IL CONCETTO DELL'UNO,QUINDI CONSAPEVOLE DEL FATTO CHE SIAMO TUTTI PARTE DI UN UNICO ORGANISMO VIVENTE,SIAMO TUTTE CELLULE DI UN ORGANISMO,IL FATTO CHE UNA CELLULA MANGIA L'ALTRA POTREBBE FARCI COMPRENDERE COSA PUO' PROVOCARE E INFINE FARCI COMPRENDERE CHE QUESTI RITUALI SONO DEGLI ATTI ABOMINEVOLI E ASSOLUTAMENTE DOVREBBERO ESSERE ABOLITI IN OGNI LORO FORMA.
ALY.
I riti satanici e grotteschi sacrifici umani che ancora oggi si svolgono sono destinati a creare una grande quantità di energia negativa che va ad alimentare questa coscienza.
Più energia viene prodotta nel mondo tridimensionale, più potere ha la coscienza di manipolare questo pianeta.
L'umanità sta allora operando su un campo da gioco di vibrazioni negative all'interno della gamma di vibrazioni della coscienza "satanica".
Ecco perchè i sacrifici umani e animali di cui pullula la storia continuano a consumarsi ancora oggi.
Alcuni di essi si svolgono addirittura pubblicamente. Che cos'è un macello se non un luogo in cui avvengono sacrifici di animali, che creano enorme terrore e sofferenza - energia estremamente negativa?
Più energia viene prodotta nel mondo tridimensionale, più potere ha la coscienza di manipolare questo pianeta.
L'umanità sta allora operando su un campo da gioco di vibrazioni negative all'interno della gamma di vibrazioni della coscienza "satanica".
Ecco perchè i sacrifici umani e animali di cui pullula la storia continuano a consumarsi ancora oggi.
Alcuni di essi si svolgono addirittura pubblicamente. Che cos'è un macello se non un luogo in cui avvengono sacrifici di animali, che creano enorme terrore e sofferenza - energia estremamente negativa?
Tratto da “Io sono Me Stesso, Io sono Libero“ di David Icke
Qui leggiamo,sempre dal libro di Icke;
Il più famoso satanista del mondo, Aleister Crowley, che aveva legami sia con Winston Churchill che son i nazisti, sostenne il sacrificio umano e ammise il sacrificio di bambini. Nel suo libro del 1929 intitolato “Magick In Theory And Practice”, spiega le ragioni della morte rituale e il motivo per cui le vittime migliori sono i bambini piccoli di sesso maschile.
Secondo la teoria degli antichi maghi, ogni essere vivente è un pozzo di energia che varia per quantità a seconda della dimensione dell'animale e per qualità a seconda del suo carattere mentale e morale.
Al momento della morte di questo animale, questa energia viene improvvisamente liberata. Se si vuole avere il massimo risultato in termini spirituali, bisogna quindi scegliere una vittima che contenga la più grande e la più pura forza. Un bimbo maschio di perfetta innocenza e notevole intelligenza è la vittima più soddisfacente e adatta.
Alla morte dell'animale, questa energia è LIBERATA.L'animale deve essere ucciso all'interno di un cerchio di modo che l'energia non può sfuggire.
Tratto da “Io sono Me Stesso, Io sono Libero“ di David Icke
Secondo la teoria degli antichi maghi, ogni essere vivente è un pozzo di energia che varia per quantità a seconda della dimensione dell'animale e per qualità a seconda del suo carattere mentale e morale.
Al momento della morte di questo animale, questa energia viene improvvisamente liberata. Se si vuole avere il massimo risultato in termini spirituali, bisogna quindi scegliere una vittima che contenga la più grande e la più pura forza. Un bimbo maschio di perfetta innocenza e notevole intelligenza è la vittima più soddisfacente e adatta.
Alla morte dell'animale, questa energia è LIBERATA.L'animale deve essere ucciso all'interno di un cerchio di modo che l'energia non può sfuggire.
Tratto da “Io sono Me Stesso, Io sono Libero“ di David Icke
Ora iniziamo a leggere l'articolo sottostante per approfondire il tutto.
IL SACRIFICIO,IERI E OGGI.
IL SACRIFICIO,IERI E OGGI.
Il sacrificio, come l’etimologia del nome stesso indica
(sacrum facere), rappresenta l’atto più sacro all’interno di ogni religione, l’elemento
fondante attorno al quale ogni credo si sviluppa.
Nella religione
vedica, tutti gli esseri viventi ebbero origine dal sacrificio di Purusha,
l’Uomo Primordiale, smembrato dai Veda nell’atto di creazione del mondo.
Questo smembramento è
simbolo del passaggio dall’unità al molteplice, l’atto necessario affinché il
mondo materiale possa iniziare ad esistere: si tratta di un passaggio che si
ritrova in tutte le cosmogonie religiose dell’antichità, patrimonio comune
della conoscenza condivisa dall’umanità delle epoche passate.
Il rito sacrificale,
quindi, condiviso dalle religioni del passato e del presente, ricrea e ripete
ogni volta quel sacrificio primordiale, il momento di divisione e di sofferenza
con cui la realtà ebbe inizio.
Scopo principale del
rito è infatti ricreare nel mondo materiale le realtà celesti, e ripercorrere
in terra le azioni dei mondi superiori, creando un legame tra le diverse
dimensioni dell’essere in un momento in cui il tempo e le distanze cessano di
esistere.
Questo elemento
fondante non manca nemmeno nel Cristianesimo, la cui dottrina si fonda sul
Sacrificio per eccellenza, quello del Cristo Figlio di Dio.
Il Cristo ripercorre
col suo gesto il sacrificio originario, ricrea in sé la divisione primordiale
che condusse dall’unità al molteplice, ed in una dimensione a-temporale chiude
il ciclo della creazione stessa.
Da questo punto di
vista, per la religione cristiana non vi potrà più essere alcun sacrificio dopo
quello di Gesù, dal momento che nella sua figura si compie il ciclo della
divisione originaria, ed in sé il Figlio di Dio ricompone lo strappo
dell’inizio dei tempi.
Nelle epoche passate, e anche in quelle presenti, come si
vedrà, questo rito oscillò spesso tra un richiamo simbolico ed un crudo
realismo, laddove nel tempo diverse culture non esitarono ad “utilizzare”
esseri viventi, animali ed anche uomini, per portare a termine il rituale.
Il sacrificio umano
era comune nelle popolazioni semitiche dell’antichità, nelle culture
precolombiane dell’America centrale, ed anche nelle popolazioni che abitavano
il continente europeo prima dell’arrivo delle stirpi indoeuropee.
La commistione tra
piano simbolico e piano contingente può infatti avere come esito un approccio
confusionale nei confronti del rito stesso, una degenerazione che dal piano
religioso porta a quello magico: questo è propriamente ciò che accadde in
quelle culture che nel ricreare il sacrificio originario dell’ Uomo Primordiale
ricorsero a dei sacrifici umani veri e propri.
L’aspetto simbolico
lasciò il campo a quello “magico”, e l’atto in sé acquisì una valenza diversa,
utilitaristica e “materiale”.
Tale processo
rappresenta un aspetto comune in diverse tradizioni, laddove nel termine del
loro ciclo terreno all’antica sapienza si sostituiscono il richiamo magico e la
superstizione, che come il termine stesso indica rappresenta ciò che rimane di
un’antica conoscenza nel momento in cui si smarrisce il suo significato più
profondo.
Per comprendere il modo in cui il concetto di sacrificio ha
assunto nel tempo una ulteriore valenza, è bene ricordare come il piano
simbolico si contrappone a quello magico-utilitaristico.
Nel primo caso, come
già accennato, il rito rappresenta quel momento in cui la dimensione temporale
si annulla, e si ricrea in terra l’azione celeste, unendo in questo modo le due
realtà e creando un legame tra i diversi mondi.
Foto:https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZhTFySdkU0tyK0qRMSehfRWlwkPPsA1LHUuhx2K5Jb1rV9OhnDa3dlIlyQkebmmL5Caev7PHxiLUc-UjKqRC7WxKr7zlHM93l7brWrMEzRxk86ZXUbZ2NjCXhO_pZiwpOAblet5tFci8/s1600/cappella-sistina-sacrificio-di-noe.jpg
Nella visione magica,
al contrario, il rito assume anche uno scopo “utilitaristico”, e per mezzo del
suo compimento gli officianti si attendono un responso: l’atto magico è
propriamente questo, infatti, ovvero l’attendere un fenomeno a seguito di una
propria azione rituale, in contrapposizione con la teurgia, che invece mira
solo a stabilire un ponte tra ciò che è tangibile e ciò che appartiene ad un
piano superiore.
I sacrifici umani, di conseguenza, appartengono al piano
magico-utilitaristico, e sono sempre stati effettuati nella convinzione di
poter per mezzo di essi ottenere benefici materiali in questo mondo.
Il sacrificio di
Ifigenia narrato nell’Iliade, l’uccisione di migliaia di prigionieri di guerra
eseguiti dai sacerdoti Aztechi, i bambini immolati al Dio Moloch dalle antiche
popolazioni semite, ogni sacrificio umano di cui la storia ci porta notizia
venne compiuto in attesa di una contropartita contingente.
Secondo le scienze
magiche, infatti, nell’atto del sacrificio entrano in gioco potenze psichiche
dirompenti, e l’energia vitale della vittima può essere indirizzata affinché si
possa compiere il proprio scopo, che si tratti di stimolare i venti che aiutino
la partenza delle navi, di allontanare la fine del mondo, oppure di
affrettarla.
Aleister Crowley,il principale mago ed occultista del
novecento, descrisse nel dettaglio il modo in cui i sacrifici umani debbano
essere compiuti, affinché le energie vitali liberate potessero essere
ottimamente convogliate ed utilizzate, così come la teosofa Alice Bailey, madrina
della New Age, non mancò di ricordare come queste forze psichiche liberate
dalla morte di milioni di persone potessero aiutare e favorire il tanto
agognato processo del “passaggio di era”.
I sacrifici, quindi, lungi dall’appartenere alle civiltà del
passato, continuano ad essere officiati anche nei nostri tempi, in modi invero
più subdoli ed assai meno visibili, rispetto ai tempi antichi.
La nuova religione luciferiana che nei nostri tempi si sta
imponendo, in maniera sempre più evidente, necessita infatti di grandi quantità
di queste “energie vitali”, affinché i suoi scopi possano essere raggiunti.
Il rito per
eccellenza di questa nuova religione ebbe luogo l’11 Settembre del 2001, il
giorno in cui migliaia di persone perdevano la vita all’interno delle due
colonne del vecchio tempio che crollava, propiziando con il loro sacrificio
l’edificazione del Nuovo Tempio spirituale che dovrebbe fare da suggello al
Nuovo Ordine.
Ma riti sacrificali di stampo magico continuano a
verificarsi ogni giorno, con continuità in ogni parte del mondo.
Sacrifici più o meno
potenti, spesso portati avanti in maniera ignara da officianti inconsapevoli.
Sempre Crowley, sottolineava nei suoi libri come la vittima
sacrificale per eccellenza fosse un bambino, dal momento che la sua purezza
poteva garantire un forte “rilascio” di energie psichiche: secondo questa
visione, di conseguenza, le forze vitali più potenti vengono ottenute per mezzo
dell’uccisione di infanti, e risultati ancora maggiori si potranno avere se il
bambino non è ancora stato nemmeno “contaminato” dal mondo esterno, ed ancora
vive all’interno del grembo della madre.
Ecco quindi che
quello del feto risulta il sacrificio più potente, dal punto di vista magico.
Forse, la tragedia
dei milioni di aborti compiuti al mondo ogni anno, potrebbe assumere una
valenza ancora più oscura, e terribile.
Foto:https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPQRn1PAew4CikqwxzDF-rRcgS9INzy0TtTpqm3TIaq4cucR9QbGKbm39tOLanL1Y_s5b6M4GWFGGuGXPv1pajLTatErC7JO5wsgmI-VQ9NaDEGjSqEH1fiAeVUpZOvTg8pBYWwpl0dGY/s320/maiale+al+macello.jpg
Che cos'è un macello se non un luogo in cui avvengono sacrifici di animali, che creano enorme terrore e sofferenza - energia estremamente negativa?
Tratto da “Io sono Me Stesso, Io sono Libero“ di David Icke
A questo proposito riporto questo articolo che concerne spunti interessanti,testo estratto di rilievo: tratto da; Il sacrificio, la carne e gli animali.
La relazione tra il mangiar carne e l’ordine sociale. Come già visto, il sacrificio con finalità oblativa prevede una distribuzione strettamente codificata delle parti del corpo della vittima ai commensali; si tratta di una spartizione che rispecchia le gerarchie politiche della società sacrificante. Secondo Marcel Detienne, in Grecia l’alimentazione carnea coincideva in modo assoluto con la pratica sacrificale1. Esistevano due sistemi di spartizione: uno basato sul privilegio (ghèras), in cui le porzioni più pregiate erano assegnate ai capi (sacerdoti, re, magistrati); e uno, analogo del pasto omerico a parti uguali, in cui il corpo della vittima era smembrato in pezzi di uguale peso che venivano tirati a sorte. I due sistemi potevano combinarsi: prelievo delle porzioni pregiate per i commensali di rango particolare e distribuzione egalitaria del resto2. Le categorie di abitanti marginali, i non-cittadini, non partecipavano al sacrificio e al pasto carneo se non sotto precise condizioni: gli stranieri solo attraverso la mediazione di un cittadino che rispondesse pubblicamente di loro; i meteci erano esclusi dal sacrificio ma potevano essere ammessi tra i commensali; quanto alle donne, costituivano, nelle le parole di Detienne, «la categoria più rilevante dei marginali nel sacrificio»3. Lo status delle donne nel sacrificio corrispondeva esattamente al loro status politico: private di tutti i diritti politici, esse erano dunque escluse dagli altari, dalla carne e dal sangue, salvo circostanze eccezionali nelle quali entravano in gioco unicamente le donne sposate con dei cittadini, solo attraverso la mediazione del marito e, nei termini della gerarchia, ricevendo la loro porzione solo dopo i maschi della famiglia4. Non è forse possibile cogliere strutture analoghe regolanti il consumo di carne e la ripartizione degli animali (in quanto «pezzi» e in quanto specie) nelle società moderne secondo criteri fondati sulla classe sociale, quindi sulla cittadinanza e sul peso politico? Spartizione laica, impersonale, che si impone da sé, in cui il classismo capitalista (carni scelte, ed eventualmente «biologiche» o di specie più rare o difficili da allevare, per i ricchi; carni più ordinarie, o di «minore qualità», per gli altri) si interseca con simbologie patriarcali (carni rosse e al sangue per gli uomini, carni bianche, o pesce, o formaggi, per le donne).
In questa cornice, è interessante interrogarsi sulla posizione sociale dei «disertori» dell’alimentazione carnea. Detienne dedica alcune pagine ai gruppi filosoficamente e religiosamente dissidenti dell’Antichità, avversi al sacrificio e più o meno «vegetariani» (correnti pitagoriche, orfiche, dionisiache), e osserva che «sono le forme di protesta, rese esplicite dai diversi orientamenti del misticismo greco, che permettono di cogliere le regole implicite e di far apparire le grandi articolazioni del sistema sacrificale»5. Se cioè il sistema delle pratiche religiose-alimentari scaturisce da un fondo ancestrale tacito che i Greci non sentono il bisogno di definire in modo manifesto e razionale, sono le voci discordi che ne tracciano i contorni proprio attraverso la protesta. E non si può forse dire che oggi le critiche sempre più numerose dell’uccisione di animali a scopo alimentare, da parte di un movimento vegetariano che guadagna costantemente in visibilità, sfidano il sistema carnivoro a uscire dal confortante alveo della tacita legittimazione storico-culturale per impegnarsi in auto-giustificazioni filosofiche aperte (e, a dire il vero, non sempre convincenti)?
Il secondo tratto del sacrificio potenzialmente riferibile all’attualità riguarda il modo in cui i mangiatori di carne si rapportano alle vittime, gli animali, e in particolar modo alla loro sofferenza. Come abbiamo visto, nel rito sacrificale che ha per vittime gli ingesta è prescritto di evitare quanto più possibile la sofferenza. Ciò è vero anche nel sacrificio greco: Detienne parla di una «volontà di cancellare la violenza nella cerimonia sacrificale, come se si trattasse di discolparsi in anticipo dell’accusa di assassinio»6, e descrive il modo in cui l’animale viene accompagnato all’altare in processione, senza fretta né costrizione apparente, il coltello, sottile e affilato per una morte rapida, nascosto in un cesto sotto chicchi d’orzo mischiati a sale. Addirittura, «il rituale si preoccupa di ottenere il suo consenso attraverso il movimento della testa»: la procedura vuole che gli si spargano addosso all’improvviso acqua fredda e poi semi, il che lo induce a scuotere la testa, per sgrullarsi, gesto interpretato come segno di assenso7. Per lo stesso motivo, davanti all’altare l’animale, fino ad allora allevato in libertà perché destinato a essere sacrificato, viene indotto ad abbassare il capo, come nel gesto di assoggettarsi al giogo, ulteriore manifestazione di consenso8. Ora, Françoise Armengaud ha certamente ragione nell’evocare il disprezzo per l’animalità espresso dalle attuali modalità industriali di allevamento e uccisione delle bestie. Ma se pensiamo all’importanza che gran parte della nostra società, pur non aderendo al vegetarismo –anzi, proprio per il fatto di non aderire al vegetarismo- accorda all’idea di «benessere» animale e alla riduzione della sofferenza negli allevamenti e nei mattatoi, e accostiamo questa esigenza sociale odierna alla struttura del sacrificio greco, ecco una nuova affinità. Anche la nostra società, come quella greca, ha bisogno di rimuovere il più possibile le tracce di violenza dall’idea dell’uccisione degli animali. È l’organizzazione economica capitalista, con la sua massificazione e la sua tecnologia, a rendere materialmente impossibile la realizzazione di questa «impostura». Ecco allora che, in epoca moderna, le macellazioni cominciano a non essere più praticate per strada ma in luoghi chiusi e centralizzati, i mattatoi, che progressivamente si spostano sempre più lontano dal centro della città, dal cuore della vita sociale. Ed ecco che, parallelamente, la comunicazione di massa comincia a lavorare sull’immagine degli animali di allevamento: colorati, buffi, sorridenti, consenzienti.
FONTE:http://www.vitapensata.eu/2011/03/08/il-sacrificio-la-carne-e-gli-animali/
DI SEGUITO L'ARTICOLO COMPLETO.
Il sacrificio, la carne e gli animali
Di: Agnese Pignataro
8 marzo 2011
Esiste un rapporto tra l’odierno consumo di carne animale e la sfera sacrificale? Le categorie sacrificali antiche possono aiutarci per comprendere meglio l’alimentazione carnea contemporanea? Il sacrificio deve o no essere considerato una struttura fondativa ineluttabile dell’essere umano, e se sì, fondativa di cosa? Il gesto vegetariano, oltre a esprimere un rifiuto individuale della violenza, può essere letto come un rifiuto dell’intero ordine sociale? A queste domande tenta di rispondere Françoise Armengaud in Réflexions sur la condition faite aux animaux, appena pubblicato presso le edizioni Kimé.
Armengaud è agrégée e dottore di ricerca in filosofia, già maître de conférences di filosofia del linguaggio ed estetica all’università Paris X nonché redattrice di Nouvelles Questions Féministes, storica rivista internazionale di femminismo materialista e radicale. Questo suo nuovo volume raccoglie ed elabora articoli pubblicati negli ultimi venti anni su svariati temi uniti da un filo conduttore: la riflessione, critica e sdegnata, sulle relazioni tra gli umani e gli animali e in particolare sull’uso che i primi fanno dei secondi, nei concetti e nelle pratiche. I diversi argomenti affrontati spaziano dall’interpretazione estetica della rappresentazione degli animali -nel cinema, nell’arte, nella poesia- alla loro interpretazione politica, che mostra come, attraverso sofismi e accostamenti ideologici, tale rappresentazione ricopra una funzione giustificativa di numerose frammentazioni politiche dello spazio sociale umano. All’interno di questo vasto materiale, che sarebbe impossibile presentare in modo esauriente e complessivo, abbiamo scelto di concentrarci sull’analisi operata da Armengaud del rapporto tra la categoria del «sacrificio» e l’alimentazione carnea.
Prima di addentrarci in questa direzione, è bene introdurre una precisazione: le riflessioni proposte in questo libro non si limitano mai a una semplice trattazione del ruolo dell’animale come sostituto simbolico dell’umano, che si tratti del sacrificio o in generale dell’uso politico dell’animalità. Armengaud puntualizza in modo costante, insistente, che al cuore delle sue riflessioni ci sono gli animali: «così come noi li trattiamo, nei nostri gesti e condotte, nell’organizzazione massiccia e crudele del loro sfruttamento e nell’assassinio insito nel loro abbattimento»; ma anche «gli animali e il piacere che ci suscita la loro bellezza e, a volte, un’amicizia che non siamo mai sicuri di meritare» (pp. 13-14). Nel caso del suo studio delle teorie antropologiche del sacrificio, Armengaud scrive: «preciso che il mio interesse per l’antropologia è un interesse in qualche modo obliquo: dal punto di vista degli animali. Con questo vorrei anche indicare un punto cieco dell’antropologia classica, ovvero la sua non interrogazione sull’essere dell’animale, il cui essere vittima va da sé» (p. 77).
Per poter affrontare la problematica del sacrificio in relazione al consumo di carne, occorre in primo luogo precisare la nozione stessa di «sacrificio». «In senso stretto, il sacrificio rientra nella categoria del rito», e questo è definibile come «una sequenza di gesti e di azioni regolati nel loro ordine e successione, ripetuti periodicamente […] che riveste un carattere sacro o simbolico» (p. 62). In senso più generico, poi, il sacrificio costituisce una categoria mentale e culturale che ingloba atti «apparentemente non rituali, cioè non riconosciuti come sacrifici da coloro che li praticano, ma pensabili come tali» (p. 63). Ma di che tipo di rito si tratta, specificamente? Armengaud, dopo aver presentato tre esempi di cultura sacrificale religiosa (il sacrificio brahmano nello hinduismo, il sacrificio nell’antica polis greca e l’Ayd-el-Kébir, il sacrificio domestico musulmano che ricalca quello di Abramo) abbozza una prima definizione «minimalista e astratta [… secondo cui il sacrificio] è la soppressione di un valore a profitto di un altro valore, soppressione che si ritiene avvantaggiare questo altro valore, se non addirittura crearlo; […] per esempio, per un individuo, “essere sacrificato” significa (agli occhi dei suoi sacrificatori) vedersi attribuito un valore minore e/ma degno di, e atto a produrre, attraverso il proprio annientamento, un valore maggiore» (p. 76). Sulla base di questa idea generale possono essere esaminate le diverse teorie antropologiche del sacrificio -le quali concordano nel definire come sue finalità principali la comunicazione tra gli umani e gli antenati o gli dei, e il mantenimento di un ordine sociale e/o cosmico- arrivando a definire, schematicamente, due categorie principali di sacrificio: quello in cui la vita animale funziona come doppio della vita umana e quello in cui vale per se stessa.
Nel primo caso, il valore del sacrificio è essenzialmente espiatorio: esso assicura la riparazione di un torto verso gli dèi e la restaurazione della struttura cosmica o sociale. Rito cruento di purificazione, in cui «l’animale deve essere visto come rappresentazione proiettiva, o modello, dell’essere umano» (p. 78). Lo status della vittima è riconducibile alla categoria degli «excreta (ciò che è eliminato, espulso), nella quale la finalità del sacrificio è scacciare qualcosa al di fuori del corpo sociale, espellerlo [… e] in cui gli animali sono secondari. [… ] Qui alcuni umani, per esempio nella persone di re e capi, sono primari, altri umani (schiavi, progenitura) possono essere loro sostituiti, e infine degli animali possono rimpiazzare questi ultimi. […] Mangiato o no, l’animale è in primo luogo un sostituto ed è ugualmente sostituibile da un animale di specie diversa» (p. 84).
La seconda categoria di sacrificio ha valore domestico: lo status della vittima è riconducibile alla categoria degli «ingesta (ciò che è ingerito, mangiato), il sacrificio riguarda principalmente il cibo e in esso gli animali sono prioritari, cioè non sono sostituti di umani» (p. 84). In questa tipologia di sacrificio, il rito si configura come dono e prevede una ripartizione delle carni dell’animale ucciso tra commensali trascendenti (divinità, antenati, spiriti…) e commensali terreni, gli umani sacrificanti membri di un preciso gruppo sociale (tribù, città…); ripartizione che segue regole estremamente precise quanto a preparazione, cottura e distribuzione delle parti. La finalità del sacrificio non è qui nell’idea di restaurazione ma di preservazione, di conferma della struttura del mondo, cosmico o umano.
Françoise Armengaud individua numerosi punti di divergenza tra le due categorie (pp. 85-87), le quali sono da lei riconosciute come compatibili e conciliabili proprio in quanto si spartiscono la sfera sacrificale senza coincidere. Tra questi, la divergenza delle modalità di uccisione: indolore per quanto possibile, o comunque senza sofferenza aggiunta, nel caso degli ingesta; dolorosa e con sofferenza insistentemente inflitta, secondo il modello del linciaggio, nel caso degli excreta. O ancora, quella delle qualità richieste alla vittima: animale sano, perfetto, «puro», nel caso degli ingesta, laddove gli excreta non debbono avere requisiti particolari. Fondamentale poi quella che riguarda la giustificazione e lo scopo del sacrificio: l’uccisione dell’ingestum è un’offerta finalizzata alla coesione sociale tramite la ripartizione delle risorse, un dono che dà luogo alla circolazione e allo scambio, in questo caso dell’alimento, mentre quella dell’excretum è un’espiazione, finalizzata alla salvezza del collettivo attraverso l’immolazione di uno solo. «In ultima analisi, nel caso degli ingesta si tratta per gli umani di mangiare; nel caso degli excreta, di non essere mangiati dagli altri umani» (p. 86).
Nell’idea del sacrificio come rito catartico avente per oggetto degli excreta, il lettore avrà certamente riconosciuto la teoria di René Girard, secondo la quale esiste una struttura sacrificale socialmente fondante, e quindi necessaria e inaggirabile, il cui fine è canalizzare la violenza individuale in un atto di violenza collettiva, esercitato su di un capro espiatorio, per costituire e garantire la pace sociale. Ma Armengaud, appoggiandosi alle critiche di altri autori, contesta tale teoria per il suo riduzionismo: Girard, dice Armengaud seguendo Heusch, «ha il difetto di abolire tutte le differenze antropologiche in virtù di una concezione psicologica arbitratria della vita sociale» (p. 83); e ancora, seguendo Pommier, Girard «considera (a torto), in primo luogo che ci sono solo sacrifici cruenti; in secondo luogo che i sacrifici di animali sono essenzialmente sostitutivi, dei sacrifici umani camuffati» (ibidem). Come abbiamo visto nella ricostruzione di Françoise Armengaud, invece, non tutti i sacrifici corrispondono alla teorizzazione girardiana, non tutti i riti sacrificali sono riti terapeutici volti a contenere e sublimare la violenza umana: una tale teoria unitaria del sacrificio non rende conto della complessità delle funzioni e delle pratiche e va quindi rifiutata in quanto semplificatoria. Quel che più interessa rispetto alla finalità complessiva del lavoro di Armengaud è che rifiutare di interpretare il sacrificio unicamente nei termini proposti da Girard permette di poter pensare più facilmente un’uscita dalla logica sacrificale, uscita che Girard invece non ritiene né possibile né augurabile.
Le riflessioni di Armengaud, difatti, non sono mai meramente descrittive, ma sono percorse da un intento politico: la «speranza a lungo termine» (p. 30) che l’oppressione degli animali possa un giorno essere abolita. Nel caso delle pratiche sacrificali, si tratta di capire il nesso, se un nesso esiste, fra tali pratiche e l’odierno consumo di carne nelle società industrializzate contemporanee, per arrivare infine a chiedersi: «che fare per uscire dalla sfera dei sacrificabili e dei sacrificati?» (p. 87).
Abbiamo già visto come lo schema del sacrificio come espiazione non sia realmente legato all’atto del mangiare. Quanto allo schema del sacrificio come dono, secondo Armengaud esso non è direttamente applicabile all’alimentazione carnea attuale, perché in esso una parte della vittima deve sempre essere riservata al commensale trascendente (la divinità), laddove il consumatore di oggi «non dà nulla e prende tutto, non dà ad altri che a sé. È ancora possibile pensare il pasto carneo in termini di oblazione [solo] a condizione di vedere, in termini contemporanei, il cibo-carne come sacrificio offerto a sé per vivere, soddisfare l’appetito, il gusto, la golosità, rinnovare l’energia» (pp. 75-76). Un ulteriore elemento di non corrispondenza tra categorie sacrificali antiche e relazione attuale con gli animali-vittime risiederebbe poi nel fatto che «al giorno d’oggi sembra che trattiamo i nostri ingesta come degli excreta, attraverso il disprezzo che abbiamo per loro, disprezzo evidente nelle modalità di vita che infliggiamo loro e nella loro distruzione di massa» (p. 88). Dobbiamo forse concludere allora che i comportamenti di oggi siano poco o per niente leggibili come espressioni di una mentalità sacrificale?
Pur concordando con Françoise Armengaud sull’idea che il sacrificio «non fornisce una spiegazione ultima della violenza esercitata sugli animali» (p. 89), è nostro avviso che esistano altre caratteristiche del sacrificio oblativo potenzialmente utili per comprendere, almeno in parte, alcuni aspetti del moderno sistema di produzione e consumo dell’alimento-carne. Sulla base dei saggi del grecista ed antropologo Marcel Detienne raccolti nel volume La cuisine du sacrifice en pays grec, ci sembra di poter individuare almeno due tratti del sacrificio quale era praticato nella Grecia antica che sono riferibili alla nostra attualità.
Il primo è la relazione tra il mangiar carne e l’ordine sociale. Come già visto, il sacrificio con finalità oblativa prevede una distribuzione strettamente codificata delle parti del corpo della vittima ai commensali; si tratta di una spartizione che rispecchia le gerarchie politiche della società sacrificante. Secondo Marcel Detienne, in Grecia l’alimentazione carnea coincideva in modo assoluto con la pratica sacrificale1. Esistevano due sistemi di spartizione: uno basato sul privilegio (ghèras), in cui le porzioni più pregiate erano assegnate ai capi (sacerdoti, re, magistrati); e uno, analogo del pasto omerico a parti uguali, in cui il corpo della vittima era smembrato in pezzi di uguale peso che venivano tirati a sorte. I due sistemi potevano combinarsi: prelievo delle porzioni pregiate per i commensali di rango particolare e distribuzione egalitaria del resto2. Le categorie di abitanti marginali, i non-cittadini, non partecipavano al sacrificio e al pasto carneo se non sotto precise condizioni: gli stranieri solo attraverso la mediazione di un cittadino che rispondesse pubblicamente di loro; i meteci erano esclusi dal sacrificio ma potevano essere ammessi tra i commensali; quanto alle donne, costituivano, nelle le parole di Detienne, «la categoria più rilevante dei marginali nel sacrificio»3. Lo status delle donne nel sacrificio corrispondeva esattamente al loro status politico: private di tutti i diritti politici, esse erano dunque escluse dagli altari, dalla carne e dal sangue, salvo circostanze eccezionali nelle quali entravano in gioco unicamente le donne sposate con dei cittadini, solo attraverso la mediazione del marito e, nei termini della gerarchia, ricevendo la loro porzione solo dopo i maschi della famiglia4. Non è forse possibile cogliere strutture analoghe regolanti il consumo di carne e la ripartizione degli animali (in quanto «pezzi» e in quanto specie) nelle società moderne secondo criteri fondati sulla classe sociale, quindi sulla cittadinanza e sul peso politico? Spartizione laica, impersonale, che si impone da sé, in cui il classismo capitalista (carni scelte, ed eventualmente «biologiche» o di specie più rare o difficili da allevare, per i ricchi; carni più ordinarie, o di «minore qualità», per gli altri) si interseca con simbologie patriarcali (carni rosse e al sangue per gli uomini, carni bianche, o pesce, o formaggi, per le donne).
In questa cornice, è interessante interrogarsi sulla posizione sociale dei «disertori» dell’alimentazione carnea. Detienne dedica alcune pagine ai gruppi filosoficamente e religiosamente dissidenti dell’Antichità, avversi al sacrificio e più o meno «vegetariani» (correnti pitagoriche, orfiche, dionisiache), e osserva che «sono le forme di protesta, rese esplicite dai diversi orientamenti del misticismo greco, che permettono di cogliere le regole implicite e di far apparire le grandi articolazioni del sistema sacrificale»5. Se cioè il sistema delle pratiche religiose-alimentari scaturisce da un fondo ancestrale tacito che i Greci non sentono il bisogno di definire in modo manifesto e razionale, sono le voci discordi che ne tracciano i contorni proprio attraverso la protesta. E non si può forse dire che oggi le critiche sempre più numerose dell’uccisione di animali a scopo alimentare, da parte di un movimento vegetariano che guadagna costantemente in visibilità, sfidano il sistema carnivoro a uscire dal confortante alveo della tacita legittimazione storico-culturale per impegnarsi in auto-giustificazioni filosofiche aperte (e, a dire il vero, non sempre convincenti)?
Il secondo tratto del sacrificio potenzialmente riferibile all’attualità riguarda il modo in cui i mangiatori di carne si rapportano alle vittime, gli animali, e in particolar modo alla loro sofferenza. Come abbiamo visto, nel rito sacrificale che ha per vittime gli ingesta è prescritto di evitare quanto più possibile la sofferenza. Ciò è vero anche nel sacrificio greco: Detienne parla di una «volontà di cancellare la violenza nella cerimonia sacrificale, come se si trattasse di discolparsi in anticipo dell’accusa di assassinio»6, e descrive il modo in cui l’animale viene accompagnato all’altare in processione, senza fretta né costrizione apparente, il coltello, sottile e affilato per una morte rapida, nascosto in un cesto sotto chicchi d’orzo mischiati a sale. Addirittura, «il rituale si preoccupa di ottenere il suo consenso attraverso il movimento della testa»: la procedura vuole che gli si spargano addosso all’improvviso acqua fredda e poi semi, il che lo induce a scuotere la testa, per sgrullarsi, gesto interpretato come segno di assenso7. Per lo stesso motivo, davanti all’altare l’animale, fino ad allora allevato in libertà perché destinato a essere sacrificato, viene indotto ad abbassare il capo, come nel gesto di assoggettarsi al giogo, ulteriore manifestazione di consenso8. Ora, Françoise Armengaud ha certamente ragione nell’evocare il disprezzo per l’animalità espresso dalle attuali modalità industriali di allevamento e uccisione delle bestie. Ma se pensiamo all’importanza che gran parte della nostra società, pur non aderendo al vegetarismo –anzi, proprio per il fatto di non aderire al vegetarismo- accorda all’idea di «benessere» animale e alla riduzione della sofferenza negli allevamenti e nei mattatoi, e accostiamo questa esigenza sociale odierna alla struttura del sacrificio greco, ecco una nuova affinità. Anche la nostra società, come quella greca, ha bisogno di rimuovere il più possibile le tracce di violenza dall’idea dell’uccisione degli animali. È l’organizzazione economica capitalista, con la sua massificazione e la sua tecnologia, a rendere materialmente impossibile la realizzazione di questa «impostura». Ecco allora che, in epoca moderna, le macellazioni cominciano a non essere più praticate per strada ma in luoghi chiusi e centralizzati, i mattatoi, che progressivamente si spostano sempre più lontano dal centro della città, dal cuore della vita sociale. Ed ecco che, parallelamente, la comunicazione di massa comincia a lavorare sull’immagine degli animali di allevamento: colorati, buffi, sorridenti, consenzienti. Laddove Armengaud afferma che «trattiamo i nostri ingesta come degli excreta», è necessario aggiungere che continuiamo ad aver bisogno di pensarli come ingesta.
Nella conclusione delle sue riflessioni sul sacrificio, la filosofa francese afferma che «sembra facile (o almeno si può immaginare senza difficoltà) uscire dal sacrificio degli ingesta, smettere di nutrirsi […] di carne animale. Ma è dal sacrificio di violenza fondatrice, dal sacrificio politico degli excreta, che sembra più difficile uscire. Sacrificio che comprende anche le guerre e i massacri tra umani» (p. 88). Se una vera risposta al problema dell’uscita dalla mentalità sacrificale è ancora di là da venire, il merito di Armengaud sta sicuramente nell’aver chiarito alcuni presupposti importanti del problema stesso, mostrando in che termini e a che condizioni si può dire che tale mentalità sia in relazione con il mangiar carne. Un chiarimento che permette di evitare letture univoche troppo affrettate. La struttura del sacrificio è probabilmente una componente delle relazioni che intratteniamo con gli animali al giorno d’oggi, ma ciò non vuol dire che sia univoca, né che sia l’unica. E se gli animali assumono ancora oggi le vesti di esseri metaforici, utilizzati come sostituti di umani e destinatari obliqui della violenza umana, come sostiene Girard, ciò non significa che questo sia il loro ruolo unico, o principale. Come abbiamo visto, alcune pratiche sacrificali si esercitano sugli animali non in quanto capri espiatorî ma in quanto esseri commestibili e trattano la violenza della loro messa a morte come un effetto collaterale da minimizzare e rimuovere. Si tratta di due visioni dell’animale essenzialmente diverse e non sovrapponibili, nelle quali emergono fattori di tipo eterogeneo che, pur eventualmente intersecandosi, non possono riassumersi gli uni negli altri.
Queste precisazioni inducono a pensare che il superamento della violenza infra-umana da realizzarsi attraverso una rifondazione sociale e culturale delle relazioni umane, un passaggio certamente indispensabile per uscire dalla logica del sacrificio espiatorio, è premessa necessaria ma non sufficiente in sé per uscire dal sacrificio degli ingesta e dalle pratiche carnivore in generale. Uscita che richiede una condizione supplementare: la disponibilità ad abbandonare l’immagine degli animali come esseri commestibili, ovvero ad ipotizzare relazioni con gli animali che non passino attraverso dinamiche alimentari. E su quest’ultimo punto che chiude la nostra riflessione, ci permettiamo di dissentire da Françoise Armengaud: che una tale disponibilità possa nascere «facilmente» sul piano collettivo ci sembra tutto da dimostrare.
Note
1. M. Detienne, « Pratiques culinaires et esprit du sacrifice », in M. Detienne e J.-P. Vernant (a cura di), La cuisine du sacrifice en pays grec, Gallimard, Paris 1979, p. 10. V. anche p. 21: «tutta la carne consumabile deve provenire da un abbattimento rituale».
2. Ivi, p. 23.
3. Id., «Violentes “eugénies“. En pleines Thesmophories: des femmes couvertes de sang», in M. Detienne e J.-P. Vernant (a cura di), La cuisine du sacrifice en pays grec, cit., p. 186.
4. Ivi, p. 187-188.
5. M. Detienne, « Pratiques culinaires et esprit du sacrifice », cit., p. 12.
6. Ivi, p. 18.
7. Ibidem.
8. Ivi, p. 19.
http://www.vitapensata.eu/2011/03/08/il-sacrificio-la-carne-e-gli-animali/
FRANCO BATTIATO SARCOFAGIA VIDEO
Come può la vista sopportare l'uccisione di esseri che vengono sgozzati e fatti a pezzi? Non ripugna il gusto, berne gli umori e il sangue? Le carni agli spiedi crude... e c'era come un suono di vacche. Non è mostruoso desiderare di cibarsi di un essere che ancora emette suoni? Sopravvivono i riti di sarcofagia e cannibalismo. (Franco Battiato)
*Live della canzone "Sarcofagia" di Franco Battiato, contenuta nell'album "Ferro Battuto" (2005) e Liberamente ispirata al Trattato di Plutarco "Del mangiare carne".
Aggiornamento del 04/01/2013:
Sacrifici umani ed animali, condanne a morte, espianti e guerre
Olocausto è una parola che deriva da un similare termine greco olokaustos tramite il latino holocaustum, e in orgine significava quel particolare sacrificio di animali ove il povero animale veniva interamente bruciato senza che se ne conservasse alcuna parte commesitibile. Il termine olocausto in lingua italiana, per analogia, ha assunto anche il significato di un sacrifico totale, ovvero di una grande carneficina.
Gli olocausti come carneficine deliberate sono testimoniati nella storia delle religioni, ed è noto che ci sono sempre state vere e proprie mattanze sacrificali sia di animali che di uomini. Basti pensare alla pasqua Ebraica con la sua strage di agnelli, che continua nella tradizione cristiana (nonostante probabilmente Gesù fosse vegetariano come gli Esseni, che celebravano una "Pasqua fiorita" senza sacrifici animali), ed ai sacrifici umani degli aztechi collegati anche alle "guerre fiorite" (guerre che avevano come fine quello di catturare nemici da immolare sull'altare).
Durante il sacrificio 4 sacerdoti aztechi tenevano ferma la vittima sdraiata su una lastra di pietra, ed un altro sacerdtoe con un coltello di selce praticava una profonda incisione per estrarre il cuore dall'addome, reciderlo, ed offrirlo in sacrificio al loro Dio (credevano che tali sacrifici fossero indispensabili per evitare che gli Dei adirati mandassero delle terribili calamità sulla terra, memoria forse del cosiddetto diluvio universale)
Non molto diversamente i chirurghi che al giorno d'oggi pongono fine alla vita di un uomo in cosiddetta "morte cerebrale" (ma biologicamente vivo e con discrete possibilità di recupero se curato adeguatamente) usano delle sostanze paralizzanti per evitare che durante l'incisione per estrarre gli organi si dimeni rendendo difficile l'operazione di "donazione" (predazione) degli organi.
Del resto anche le moderne esecuzioni dei condannati a morte hanno molte similitudini con la predazione degli organi, e c'è qualcosa in quelle esecuzioni che rammenta i sacrifici umani dei tempi antichi.
E che dire dei tanti delitti su cui si focalizzano i mass-media (Sara, Yara) dietro i quali si intravedono ancora una volta dei sacrifici rituali, il cui effetto sembra si voglia amplificare con la propaganda mediatica?
Follie? Forse, ma in un mondo ormai perennemente sotto una cappa bianca non più di nuvole ma di scie degli aerei è giocoforza prendere coscienza dell'esistenza di qualcosa di diverso da ciò che il sistema di menzogne ci ha insegnato tramite la scuola ed i mass-media.
Avevo già ventilato l'ipotesi che le recenti morie di animali potessero anche rappresentare un sacrificio di massa di animali, compiuto per ragioni esoteriche. Ovviamente in tale ottica le guerre, oltre ad avere la finalità di ridisegnare gli equilibri geopolitici e cambiare gli assetti del potere, sono anche dei grandi sacrifici umani.
C'è qualcuno che fa notare delle coincidenze che fanno propendere ulteriormente per questa ipotesi. Nel frattempo abbiamo a che fare con armi capaci di sacrificare in un olocausto centinaia di migliaia di persone in un colpo solo, dalle bombe nucleari ai terremoti artificiali.
L'invasione in Libia lo stesso giorno dell'invasione dell'Iraq
tratto da VigilantCitizen, traduzione: nwo-truthresearch
Jet libico abbattutodo
La guerra in Iraq fu dichiarata il 19 marzo 2003. Le forze occidentali hanno attaccato la Libia il 20 marzo 2011.
C'è una ragione occulta dietro tutto questo? Entrambe le invasioni si sono verificate alla vigilia dell'equinozio di primavera, una data che era, ed è tuttora, estremamente significativa nella storia. E' la data della resurrezione del Sole, e fu spesso celebrata con un sacrificio di sangue per "fecondare la Terra".
"Quando l'equinozio di primavera non si è più verificato sotto il segno del Toro, il Dio Sole si è incarnato nella costellazione dell'Ariete e il montone è poi diventato il veicolo dell'energia solare. Così, il Sole che sorge nel segno dell'Agnello Celeste trionfa sul simbolico serpente delle tenebre. Il sangue dell'agnello è la vita solare versata nel mondo attraverso il segno dell'Ariete."- Manly P. Hall, The Secret Teachings of All Ages
"Esso (l'equinozio di primavera) fu in particolare il sacrificio des primeurs, i primi frutti dei campi, le prime verdure, i primi agnelli e altri giovani animali e così via. E il figlio primo nato, il Cristo, il Figlio di Dio, fu anche lui sacrificato al momento dell'equinozio di primavera. Questa idea dei giovani che vengono sacrificati fu chiamata a Roma la Ver Sacrum, la primavera sacra". - Carl Jung, Note sul seminari tenuti nel 1930-1934, Volume 1
"L'oggetto di questo studio era quello di dimostrare che il sacrificio umano, che prevalse ampiamente nei primi tempi, era una consuetudine connessa soprattutto con l'equinozio di primavera, e che le offerte erano fatte per placare un dragone mitico che faceva le sue richieste in quel momento. Il Drago della mitologia viene identificato e definito, e mostrato in quel senso egli apriva le sue mascelle alla stagione primaverile annuale.
In Egitto in un primo periodo furono abolite, ma in Grecia, abbiamo degli esempi storici". - George St. Clair, Dragon Sacrifices at the Vernal Equinox
Secondo alcuni ricercatori, nella tradizione degli Illuminati, l'Equinozio di Primavera è considerato un giorno di riposo minore, ma richiede sempre un sacrificio umano. Il 21-22 marzo è dedicato alla Dea Ostara (Ishtar, anche detta "Eostre"), da cui prende il nome la "Pasqua"(Easter). Il 21 marzo è una delle Notti dei Sacrifici Umani degli Illuminati. Ishtar era la dea babilonese della fecondità, dell'amore e della guerra. Il suo nome deriva dalla parola Alba ("Dawn").
E' una coincidenza che il nome dell'operazione militare in Libia sia "Operazione Alba dell'Odissea"? Stiamo osservando un altro mega rituale?
FONTE : http://scienzamarcia.blogspot.com/2011/04/sacrifici-umani-ed-animali-condanne.html
AGGIORNAMENTO DEL 06/01/2013
Sacrifici e fuochi d’artificio
Tempo di brindisi, di tappi che schioccano, di bollicine, di fuochi d’artificio... Non ci uniremo ai festeggiamenti di San Silvestro, alla gioia artefatta dell’ultimo giorno dell’anno. In un’occasione come questa, bisognerebbe rileggere l’operetta morale di Leopardi, “Il dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere”: il poeta e filosofo recanatese con il suo lucido disincanto ci rammenta che le ricorrenze sono vuote convenzioni. L’anno è scandito da feste e liturgie, ma il flusso temporale ignora le finzioni e le illusioni umane.
Purtroppo l’ultima parte del 2012 è stata suggellata da eventi sanguinari: in particolare l’eccidio nella Sandy Hook elementary school di Newtown nel Connecticut. Come è ormai quasi assodato, la strage del 14 dicembre non è stata l’azione di un folle, di un giovane psicolabile, ma un delitto orchestrato e perpetrato da frange delle istituzioni per i loro abominevoli scopi. E’ stato compiuto un altro nefando sacrificio umano che ricorda le immolazioni di bambini praticate dai Cartaginesi in onore dell’abominevole dio Moloch. [1]
Qualcuno ha scritto che nel periodo in cui si fossero susseguite notizie di bimbi trucidati nelle guerre scatenate e fomentate dalla cricca mondialista, il momento della conflagrazione finale sarebbe stato imminente. I conflitti medesimi, oltre ad essere motivati da bieche finalità strategiche ed economiche, sono cerimonie cruente. Prepariamoci dunque al peggio, pur senza deflettere. I sadici che muovono le leve degli eventi planetari amano propiziarsi l’assistenza di entità malvagie con sacrifici umani ed animali. Ciò spiega per quale motivo in questo lustro, la ferocia gratuita contro gli esseri viventi ha toccato un culmine inaudito. E’ una crudeltà talmente eccezionale che tutti i pur orrendi crimini del passato sembrano impallidire al confronto.
Viviamo in un’era demoniaca: il demoniaco non è la degradazione dell’uomo, ma il suo innalzamento ad idolo, a creatura che si ritiene in diritto di soggiogare la natura e gli altri. Un ego ipertrofico è alla radice di scelleratezze spesso provocate da una desertificazione della coscienza.
Non ci assoggetteremo alle intimazioni del sistema, ma soprattutto non ci riconosceremo mai nella sua lurida ipocrisia che spaccia l’iniquità e la tirannide per giustizia e libertà. Non è solo una questione etica, ma di buon gusto. Mario-lo Monti, non pago di aver rovinato l’Italia, persevera nella sua devastazione della nobile lingua italiana. Ora la misura è colma: non può essere tollerato un beota che conia l’oscena e grottesca frase “salire in politica”, come se non fossero bastati i suoi snobistici ed arbitrari termini inglesi. Codesto stupratore dell’idioma patrio meriterebbe la gogna, anche solo per i suoi barbarismi.
Per l’anno nuovo le parole d’ordine dovranno essere più che mai: condannare, svergognare ed esautorare le autorità, creare sinergie con la splendida umanità che non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi con i bugiardi ed i malfattori.
La “bestia” alla fine trionferà affogando nel suo stesso sangue.
[1] Non si pensi a settori deviati all’interno delle forze dell’ordine e dei governi, poiché gli apparati in sé nascono deviati, corrotti, semmai con qualche onesto dissidente al loro interno.
http://zret.blogspot.it/2012/12/sacrifici-e-fuochi-dartificio.html
APOCALISSI ALIENE: il libro http://www.lulu.com/shop/antonio-marcianò/apocalissi-aliene/paperback/product-16378312.html;jsessionid=3FBECF948A533A67A35E941B428092AB
AGGIORNAMENTO DEL 20/02/2013
Sacrifici di sangue
17 giugno 2011 | Autore Roberto Duria |
A noi lasciano solo le briciole! Noi veniamo a sapere solo i nomi di quelli che li hanno stancati. Quelli che li hanno voluti imitare senza le adeguate coperture; senza la loro approvazione. I Bambini di Satana del bolognese Marco Dimitri e le Bestie di Satana di Nicola Sapone erano gruppetti di emulatori metallari che sono caduti in disgrazia presso i veri satanisti e, da questi, sono stati lasciati senza protezione. Lasciati al loro destino, cioè incarcerati, com’era giusto che fosse. Ma loro, quelli veri, altolocati e professionisti seri del satanismo, con doppia vita in stile dottor Jeckill e mister Hide, non saranno mai messi sotto i riflettori dei mass-media e non cadranno mai sotto il giudizio dell’opinione pubblica, giacché la Fratellanza Nera di maghi massoni adoratori del Male troverà sempre il modo di toglierli dai guai. Una mano lava l’altra, specie se è la mano imbalsamata di un impiccato, potentissimo talismano.
Verso la metà degli anni Sessanta, in una villa sulle rive del lago di Como, si riunivano ricchi signori sfaccendati in cerca di forti emozioni. Chi ha visto i film “Eyes wide shut”, di Stanley Kubrick
http://www.youtube.com/watch?v=THNzuF33tZo
e “Le 120 giornate di Sodoma”, di Pasolini
http://www.youtube.com/watch?v=l2XzE2rgTGY
sa di cosa sto parlando.
Stranamente, entrambi i registi sono morti subito dopo la realizzazione dei film, che anzi nelle sale uscirono postumi. Non è stato un caso, secondo molti. La morte dei due registi, che ufficialmente non è riconducibile alle loro controverse opere, indicherebbe il grado d’influenza detenuta dalla setta di uomini potenti che si divertono a evocare il demonio e che sono in grado di spedire sicari ad ammazzare gente scomoda. La morte per incidente di macchina o per infarto è tipica della metodologia dei servizi segreti e di altri gruppi clandestini che detengono un potere che l’uomo della strada non riesce nemmeno a immaginare.
Comunque sia, la notizia riportata da Paolo Franceschetti è di quelle che mettono i brividi:
http://paolofranceschetti.blogspot.com/2011/06/sacrifici-umani-testimonianze-di.html
Tre donne sopravvissute agli abusi subiti da ricchi satanisti, con la collaborazione dei loro sciagurati genitori, hanno trovato il coraggio di presentare denuncia presso quattro procure della Repubblica. Hanno trovato, va anche detto, un avvocato disposto a farlo e anche questo non dev’essere stato facile, tenuto conto che si tratta di un terreno pieno di sabbie mobili. Da lasciarci le penne, dopo aver sbattuto ripetutamente contro il classico muro di gomma. Fino a questo momento, infatti, tutte e quattro le Procure hanno insabbiato la denuncia, segno che fra i satanisti coinvolti nei fatti ci devono essere anche dei magistrati, forse ancora in servizio.
Il calvario delle tre donne cominciò in tenera età. Già verso i due anni di vita c’erano adulti che le violentavano. Gli stessi padri, alcolizzati e mentalmente psicolabili, abusavano di loro. Poi le passavano ad amici e infine venivano tirati dentro il clan dei satanisti veri e propri. Lo scenario in cui le orge si compivano era quella villa tutt’ora in piedi sulle rive del lago di Como, ma anche altre lussuose magioni. Il marchese De Sade scrisse “Justine” e altre opere analoghe e siccome colui che diede il nome al sadismo visse nel Settecento si deve dedurre che infierire sessualmente su minori, nell’ambito di messe nere e altri riti esoterici, è una tradizione che non è mai venuta meno. Tranne forse durante i periodi delle due guerre mondiali.
In quella villa sul lago di Como, in certe occasioni, arrivavano pullman e camion carichi di bambini rumeni, a volte anche con qualche handicap, forse venduti o ceduti dalle famiglie d’origine in cambio della promessa di portarli in qualche ospedale o di avviarli al lavoro, un po’ come succede ancora oggi con le ragazze che, a dispetto della promessa di un’occupazione, finiscono sulla strada. Che negli anni Sessanta la Romania fosse un paese povero è verosimile, ma quanto è verosimile la notizia che pullman di bambini potessero passare la frontiera di Tarvisio per entrare in Italia? Si può ipotizzare qualche forma di coinvolgimento da parte della Curia, tenuto conto della tendenza di molti sacerdoti a manifestazioni di tipo pedofilo. Curia che magari forniva l’alibi per avviare quei bambini in colonie elioterapiche, istituti religiosi od orfanotrofi. Per non parlare del numero impressionante di bambini che scompaiono ogni anno e che non vengono più ritrovati e non parlo solo dei bimbi sudamericani che vengono rapiti per l’espianto dei loro organi, ma di bambini di razza bianca che vivono nel “civilissimo” Occidente.
Stando alla denuncia delle tre sopravvissute, in alcune occasioni arrivavano presso le ville in dotazione ai satanisti anche barboni, alcolizzati cronici e altre persone non garantite, ma non venivano usate per scopi sessuali, bensì per pratiche sedicenti scientifiche volte a sperimentare nuovi modi di condizionare la mente. Gli USA, alla metà degli anni Sessanta, erano già ben avviati nella sperimentazione del MK-ultra, dove per MK s’intende Mind Kontrol, ma sottoporre quei poveri senzatetto a tali trattamenti in una villa privata, lontano dai laboratori asettici all’uopo predisposti, sembra più un gioco per gente annoiata o un trastullo di sadici in vacanza. Un po’ come il francese Claude Bernard che, dopo il lavoro di ricerca fatto in ospedale, continuava a torturare cavie nella cantina di casa, arrivando una sera a fare esperimenti sul cagnolino della figlia, cosa che fece decidere la moglie a chiedere il divorzio e a fondare la prima associazione antivivisezionista francese.
Stando ai racconti delle tre sopravvissute, secondo i ricordi che gli psichiatri sono riusciti a far emergere, quando arrivavano i bambini rumeni, qualche zingarello o i barboni alcolizzati, c’era gente in divisa ad accoglierli e a sottoporli a torture, divise che avrebbero potuto essere sia naziste, con tanto di svastica, sia dell’U.S. Army. E’ probabile che fra essi vi siano stati anche esponenti dell’alto clero. Vi erano anche molte donne, tra cui la madre di una delle tre sopravvissute che, per l’occasione, si vestiva da suora.
Vi si tenevano anche dei “giochi”: il gioco della volpe, il gioco del coniglio e i bambini venivano divisi in “gatti” e “topi”, a seconda che dovessero essere manipolati mentalmente a diventare esecutori di ordini e piccoli assassini (i gatti) o semplicemente uccisi (i topi). Questi ultimi, una volta usati per scopi di violenza sessuale, venivano uccisi e squartati e, quelli più piccolini, dati in pasto ai pitoni che erano custoditi nelle grotte della villa. Nelle quali venivano tenuti anche alcuni coccodrilli e uno dei giochi preferiti dai satanisti era quello della dimostrazione di coraggio: il bambino veniva gettato nella vasca e doveva salvarsi salendo velocemente oltre il bordo prima che il coccodrillo lo azzannasse. Divertente, vero?
Va evidenziato che l’uso dei nomi di animali, per riferirsi alla destinazione da dare ai bambini, indica che era all’opera una reificazione, letteralmente “riduzione a cosa”, ovvero nella mente malata di quei ricchi magistrati, militari e liberi professionisti era avvenuto un declassamento dei bambini da membri della specie umana ad animaletti di cui abusare impunemente. Questo avviene anche durante tutte le guerre, laddove per i marines che combattevano nelle battaglie del Pacifico i giapponesi non erano esseri umani, ma….scimmie gialle. E viceversa. E così anche per gli agenti delle Forze dell’Ordine, i delinquenti uccisi durante le sparatorie non sono più esseri umani, ma….bestie. E viceversa. Idem presso i tedeschi sotto il nazismo: gli ebrei venivano chiamati abitualmente “ratti”, tanto che il fumettista (ebreo) Spiegelman ne fece un tema portante e di successo dei suoi fumetti, in cui i tedeschi erano gatti e i polacchi maiali. Questo non vi ricorda Orwell con la sua Fattoria degli animali?
Le tre donne sopravvissute a tali esperienze raccontano inoltre che in tenera età le loro madri, oltre a farle prostituire, le portavano nei cimiteri dove, alla presenza di altre persone, venivano rinchiuse nelle bare e nelle tombe con coperchi di cartongesso, da cui dovevano uscire con le loro sole forze. Venivano chiamate prove di resistenza. Un solo trauma così basterebbe a rovinare la psiche di un bimbo per tutta la vita, ma quelle madri snaturate sottoposero le bimbe a tali trattamenti più di una volta.
Molte volte mi trovo a ripetere che già gli antichi saggi del passato, come per esempio Pitagora, sapevano che la violenza sugli animali è propedeutica alla violenza sull’uomo, per cui in una società dove la violenza sugli animali è la norma, nei mattatoi, negli allevamenti, nei circhi e nei laboratori di ricerca, diventa logico che tale violenza su esseri inermi e incapaci di difendersi trasudi fuori dall’instabile e precario recinto dove la si è voluta rinchiudere, per dilagare all’esterno e prendere forme di aberrazione mentale come quelle descritte dalle tre ragazze. Se nel corso dei secoli le nostre guide religiose hanno tralasciato di evidenziare l’importanza dell’enunciato pitagorico, che non nasceva in Grecia ma veniva dall’Oriente, ci sarà stata una ragione. Immagino una ragione di tipo materialista, edonistico. Forse perché i preti sono dei grandi mangiatori di bistecche, come disse Nietzsche, e rendere immorale la violenza sugli animali, oltre a quella sull’uomo, li avrebbe privati del loro spuntino preferito. Insomma, un altro addebito sulle spalle dei sacerdoti cristiani.
Il danno è ben più vasto. Non basta che le guide religiose abbiano trascurato i diritti degli animali, per puro godimento gastronomico. C’è voluta anche la complicità della gente normale, cioè di tutti noi. Noi che siamo qui a scandalizzarci e rabbrividire per le perversioni inflitte a poveri bimbi, non battiamo ciglio e anzi, tutte le perversioni che stimati dottori praticano nei lindi laboratori di ricerca, le consideriamo un male necessario. Le chiamiamo scienza. La Nemesi ogni tanto si sveglia dal suo torpore ma con gli occhi cisposi non ci vede bene e prende a caso membri della nostra specie, sottoponendoli a quei trattamenti che altri membri adulti della nostra razza fanno agli animali. La sproporzione tra il male inflitto agli animali e quello inflitto al nostro prossimo resta, comunque, immane. Com’è immane il disgusto per l’efferatezza di pochi, ma soprattutto per l’indifferenza di tutti gli altri.
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